Climbing Hero: Ben Moon - Up-Climbing

Climbing Hero: Ben Moon

“Fin dall’esatto momento in cui per la prima volta misi piede sulla roccia, alla tenera età di sette anni, l’arrampicata è stata la cosa più importante della mia vita. Di fatto mi spingerei fino a dire che arrampicare è la mia ragione di vita e che spero di poterlo fare finché sarò fisicamente in grado. È dall’arrampicata che ho tratto ispirazione per la mia vita. È la mia direzione: sempre avanti. La lotta per spingersi sempre più avanti di prima, per fare sempre un po’ meglio; la sfida sia fisica che mentale; andare costantemente alla ricerca di quel poco di forza in più, di quel poco di resistenza in più, di quel poco di controllo mentale in più.” Ben Moon

 

Descrivere ciò che Ben Moon è stato per l’arrampicata non significa solo ricordare le pietre miliari che ci ha lasciato ma raccontare la vita di uno dei personaggi più importanti dell’arrampicata così come la conosciamo. Limitarsi a elencare nomi di vie o gradi sarebbe uno sminuire le entusiasmanti vicende umane che hanno reso lui e altri climber di quel periodo (Moffatt, Gullich, Edlinger, Berhault, Tribout, i fratelli Le Menestrel…) delle vere leggende immortali.

Forse, Ben Moon è conosciuto dai più solo come l’inventore del marchio Moon e del Moon Board, strumento di allenamento ormai presente in tutte le palestre. In realtà, queste sono solo le ultime espressioni della sua creatività, in un percorso personale che ha condizionato l’intero mondo dell’arrampicata a cavallo degli anni ottanta, novanta e anche oltre.

Balzato dalla scena inglese all’èlite mondiale colpo dopo colpo, Ben non cercava la fama (“Io non arrampicavo per essere famoso”) e, al contrario del fraterno amico/rivale Jerry Moffatt, non voleva essere il migliore. Ricercava nell’arrampicata qualcosa di più intimo, di cui gli eccezionali risultati non ne erano che l’inevitabile esito.

“Mi piace pensare che io non volevo semplicemente essere il migliore climber del mondo. Penso che in realtà volessi arrivare al massimo delle mie potenzialità. E se questo comportava diventare uno dei migliori in assoluto, allora tanto meglio. Ma non è mai stato un obiettivo”

Nato in una famiglia non convenzionale, con il nonno Jack amante dell’alpinismo e dell’arrampicata, il padre Jeremy artista riconosciuto (e che purtroppo scomparirà in seguito ad un incidente in moto quando Ben è ancora bambino) e una madre dalla grande sensibilità, Ben sarà sempre accompagnato dalla famiglia nell’originale cammino per diventare uno dei più forti arrampicatori di sempre: “Non ho mai sentito alcuna pressione a conformarmi alle regole, la mia famiglia non mi ha mai messo pressione perché scegliessi una carriera. Avevo solo diciassette anni, e stavo ancora semplicemente giocando a questo gioco che chiamiamo vita andando ad arrampicare più spesso che potevo.”

Cammino che dire originale è dire poco: lasciati gli studi, un Ben poco più adolescente andò a vivere nei sobborghi più malfamati della capitale inglese, dove, senza lavoro, vivendo in appartamenti luridi e fatiscenti con i pochi spiccioli del sussidio di disoccupazione, dedicava il suo tempo ad allenarsi, allenarsi, allenarsi, al ritmo della musica punk che amava suonare e dalla sregolatezza che accompagnava la sua esistenza. Al tempo la nascente arrampicata sportiva in realtà era proprio questo: un qualcosa di non catalogabile e non assimilabile nella società, una controcultura che faceva dell’anticonformismo e di uno stile di vita fuori dalle regole la forza propulsiva del suo essere. D’altronde solo in un contesto di questo tipo la creatività e una certa strafottenza potevano avere la forza necessaria per portare a quei balzi in avanti che si realizzarono in quegli anni in arrampicata. Specialmente in Inghilterra, il contesto socio-culturale-politico forniva terreno fertile per questo e un numero significativo di arrampicatori, Moon e Moffatt inclusi, vivevano da disoccupati bivaccando spesso in grotte o baracche alla base delle pareti, sopravvivendo di espedienti e anche furtarelli e pensando solo ad arrampicare.

Sono ancora lontani gli anni in cui l’arrampicata conoscerà il primo boom mediatico della sua storia, con le competizioni che, nei primi anni novanta, porteranno molti arrampicatori a diventare delle star (dando anche il via ad un periodo buio e poco creativo…). Un universo poi ancora più lontano da ciò che l’arrampicata è ora.

Con i suoi lunghi e famigerati capelli rasta, risultato della scarsa cura, Ben divenne senza volerlo il simbolo della nuova rivoluzione dell’arrampicata ed in Inghilterra generò non poche discussioni anche a livello etico: il nuovo approccio delle durissime vie a spit, da lui e altri portato avanti, fu da molti considerato la morte dell’etica trad inglese. In realtà Ben non voleva provocare né tantomeno mettere in discussione nulla, ma solo esplorare sempre più a fondo se stesso attraverso l’arrampicata, spingendola verso nuovi orizzonti in cui l’uso dello spit era necessario.

“Non pensavo fosse compito mio spingere i limiti in avanti. Io volevo solo fare dei progressi”

Difficile però farsi capire, specialmente quando le vie che apre spesso hanno nomi provocatori, predisposti a sollevare un putiferio: “Statement of youth” ne è l’esempio, il simbolo di rottura tra i “vecchi” borbottoni tradizionalisti e i giovani irriverenti.

“Sarebbe bello essere apprezzato, ma questo ha importanza soltanto se la gente comprende davvero quello che stai facendo”

Statement of youth, per quanto volutamente ignorato da molti in patria, catapultò Ben al top dell’arrampicata britannica e fu un trampolino di lancio per poi imporsi a livello mondiale.

In compagnia di Jerry, iniziò infatti ad assediare la falesia francese allora al centro delle attenzioni mondiali, Buoux, dove Tribout e i fratelli Le Menestrel stavano aprendo le più dure vie al mondo. Dopo frequenti viaggi e la rapida ripetizione dei testpiece dei francesi, Ben iniziò qui ad aprire vie tra le più dure al mondo, dal nome sempre provocatorio e in aperta competizione con i cugini d’oltremanica. Agincourt e Maginot Line (quest’ultima a Volx) furono tra i primi 8c al mondo e dei veri pugni nello stomaco ai rivali francesi (che comunque risponderanno alla grande in visita nelle falesie inglesi…).

Dopo essersi confrontato sulle vie più significative al mondo e aver capito invece di non essere particolarmente portato per le competizioni (dove otterrà solo qualche risultato rilevante a fronte di molte delusioni), Ben cercherà e si impegnerà su durissimi progetti in patria…e scriverà ancora di più la storia!

È il 1990 quando nella falesia di Raven Tor libera Hubble, un intensissimo tiro che propone come primo 8c+ al mondo e che tutt’ora conta pochissime ripetizioni. Al di là del grado (che sembrerebbe ora essere confermato da molti, Ondra incluso, come un 9a e che lo renderebbe il primo della storia togliendo il primato a Action Directe) la salita di Hubble è lontana anni luce per i climber di allora, a parte Moffatt che si avvicina alla ripetizione. Ben è assolutamente il più forte al mondo!

Tuttavia, anche Moon deve fare i conti con la sua vulnerabilità. A Kingsey scopre una linea che proverà alla morte, senza riuscire a chiuderla. Da qui arriveranno i dubbi, la mancanza di motivazione, un allontanarsi da un’arrampicata che è diventata un fardello più che un piacere, un qualcosa in cui non trova più stimoli e gratificazione perché è solo attenzione al grado e alla prestazione fine a se stessa. Dall’anticonformismo e l’assenza di regole, era diventato schiavo di ciò che era diventata l’arrampicata sportiva nella sua forma più stantia ed omologata. Anche in questo aspetto più negativo, Ben Moon fu l’esempio di una situazione che moltissimi climber hanno vissuto e che spesso ha messo fine a quella che era stata la grande passione della loro vita.

Ma per uno come lui questo non poteva essere un addio, ma solo una pausa di riflessione, per rinascere in una nuova forma. Rinascita che avvenne e che lo portò ad essere uno dei primi al mondo a riscoprire un modo di vivere l’arrampicata in un’espressione diversa, creativa e personale. Come qualche altro raro individuo isolato, Ben e Jerry riscoprirono il bouldering e divennero l’emblema di ciò che era una parte significativa della sua essenza: dissacrazione, esplorazione, libertà, gioco, leggerezza, unite alla piena espressione del gesto arrampicatorio.

Sopra potete vedere “The Real Thing”, il primo leggendario film che fece conoscere il boulder al mondo. A dispetto di quanti molti riportano, The Real Thing non è solo Ben che banalizza la mitica Karma a Fontainebleau. The Real Thing è Ben con i capelli ossigenati che parte in macchina dall’Inghilterra a fianco di Moffatt, impegnati in corse furiose in macchina, sgommate e testacoda, lotte nella neve e festeggiamenti serali con Kurt Albert a fare da menestrello, per culminare infine nelle nottate in discoteca a Parigi. Il tutto condito dalle immagini dei meravigliosi passaggi che salgono a Bleau. Questo è The Real Thing, l’immagine del boulder come uno stile di vita estroverso e dinamico, una risposta gioiosa e leggera alle mille fissazioni di ciò che era diventata l’arrampicata sportiva…

Boulder, video, le esperienze commerciali prima con S7 e poi con Moon, la famiglia…gli anni passano, il tempo per arrampicare diminuisce. Eppure Ben è destinato ancora a lasciare il segno.

È il 2006, a Burbage in un giorno qualunque nasce Voyager Sit Start, un 8B+ di blocco che tuttora vanta poche ripetizioni, la prima delle quali porta il nome del nostro Niccolò Ceria, diversi anni dopo la prima salita di Moon.

Il resto, probabilmente lo conoscete. Il 2015 vede un Ben che serenamente e con l’entusiasmo di un fanciullo è tornato alla corda, per chiudere quello che ufficialmente è il suo primo 9a, Rainshadow a Malham Cove. Semplicemente immenso.

Ma tutti questi numeri, ripetiamolo, non valgono più di tanto di per sé. È ciò che Ben tuttora rappresenta a renderlo un grande. In un mondo verticale dove predomina ormai l’approccio consumistico, l’omologazione e dove l’arrampicata è diventata essa stessa un simbolo della massa e del conformismo, Ben è il simbolo di ciò che invece è stata un tempo, una controcultura, un andare contro regole prestabilite per spingere sempre più in là il limite e dare libero sfogo alla creatività di individui unici e veri, non pecorelle in fila una dietro l’altra. Non serve dire altro, basta citare un’altra frase di Ben per capire cosa rappresenta per lui l’arrampicata:

“Non lo fai per soldi, devi avere passione per quello che fai. Se ti svegli la mattina e il pensiero di andare a scalare ti disgusta, allora farai certamente fatica. Quando la motivazione scarseggia devi rimboccarti le maniche e metterti al lavoro. L’arrampicata è una ricompensa di per se stessa (…) l’arrampicata è diversa dal ciclismo o dalla corsa, perché è così varia. Ci sono così tanti tipi di roccia, così tante tecniche. È uno stile di vita. Avere più soldi non avrebbe fatto una grande differenza per me. I benefici economici erano ridicoli, paragonati all’impegno profuso.“

Grazie Ben!

 Alberto Albertaccia Milani

 

Tutte le citazioni sono tratte dal libro di Ed Douglas “Ben Moon: dal punk al futuro dell’arrampicata” Ed. Versante Sud.

“Qualche volta ti senti semplicemente leggero. Qualche volta senti che ti stai muovendo bene, qualche altra no. Sei sempre al meglio quando fai le cose istintivamente. È una cosa molto zen.” Ben Moon

 

Condividi: