La discarica a Magic Wood! - Up-Climbing

La discarica a Magic Wood!

Desolante situazione nell’area boulder probabilmente più deturpata al mondo

Che Magic Wood – un tempo un incantevole bosco che davvero si meritava il nome che ha – versi ora in condizioni “post-apocalittiche” è ormai un fatto tristemente noto. La massificazione del boulder, e soprattutto la completa mancanza di rispetto di una comunità di climber che sembra ormai estranea al concetto di “outdoor”, ha qui dimostrato quali possano essere le conseguenze del menefreghismo e dell’ignoranza.

Non si tratta solo di prese ormai intenibili per la mancata pulizia e di blocchi che rischiano di diventare impraticabili… Per quanto questo sia un problema serio, ancora più serio è il danno ambientale subito dalla foresta: là dove un tempo c’era un manto di muschio e di cespugli di mirtillo ora c’è il deserto, piccoli e discreti sentieri trasformati in autostrade su cui trascinare i pad, spazzatura, mozziconi di sigaretta, radici degli alberi ormai scavate e usurate ecc.

Nel suo ultimo post Instagram, anche Elias Iagnemma ha sottolineato la situazione pessima in cui versa la celebre area svizzera, che di questo passo rischia davvero di andare distrutta e di sicuro non ha già nessuna speranza di poter tornare ciò che era.

Alla voce di Elias si aggiunge ora quello di Martin Keller, che ha postato sul suo profilo le immagini di un’altra piaga dell’area: pad distrutti e sbrindellati abbandonati sotto i massi, talvolta lasciati per usarli ancora, ma che spesso e volentieri sono rifiuti che restano lì per anni. Un’immagine degna della peggiore periferia fatiscente di una metropoli!

Questa situazione non è però che le degenerazione di una brutta consuetudine diffusasi tra i boulderisti negli ultimi anni, a Magic Wood e non solo: lasciare i pad sotto i massi per non doverli trasportare avanti e indietro ogni volta, tanto che, in certi casi, vengono anche incatenati per evitarne il furto!

Questa pratica, che lo stesso Keller dice di accettare e effettuare, è però inaccettabile nel contesto di una disciplina “outdoor”, in cui il rapporto e il rispetto della natura sono parte fondamentale del gioco. Oltretutto, stiamo parlando di un’area in cui i massi si trovano a cinque minuti dal campeggio e non a due ore di cammino in salita, il che rende ulteriormente assurda questa abitudine.

L’ambiente naturale non è un garage o un ripostiglio! Portarsi tanti pad (e fare più viaggi per farlo) a fronte del desiderio di chiudere una certa linea è parte stessa del processo di salita, che lo si voglia o no. Eppure, anche a leggere i commenti al post di Keller, non sembra che i climber siano consapevoli di ciò.

Purtroppo questo è solo uno dei tanti esempi che mostra come l’arrampicatore medio, e i boulderisti in particolare, siano ora animati da un approccio consumistico in cui non esiste nessuna voglia (o forse nessuna consapevolezza) di prestare la dovuta attenzione nello stabilire un rapporto adeguato con l’ambiente outdoor, a fronte invece della propria esigenza egoistica di chiudere un blocco nel modo più facile, veloce e comodo possibile. Se ci si aggiunge poi l’incremento notevole nel numero di praticanti, ecco che si ha il mix perfetto per una bomba a orologeria che rischia di deturpare molte altre aree…e forti segnali di questo tipo arrivano da diverse parti.

Ci sarebbe molto da dire in relazione alle problematiche di approccio all’ambiente naturale da parte degli arrampicatori sportivi moderni, inclusa anche una riflessione sul ruolo che potrebbero/dovrebbero avere i formatori in ambito indoor.

Spesso però sembrano parole buttate al vento…

Albertaccia

Condividi: