Un boulderista in viaggio nella Terra di Mezzo! - Up-Climbing

Un boulderista in viaggio nella Terra di Mezzo!

Tra le fantasiose sculture che la natura ha creato a Castle Hill e Flock Hill…

Nuova Zelanda. Brugherie sterminate, monti innevati, foreste e una sensazione di libertà che si mescola con le epiche immagini del Signore degli Anelli. Se davvero esistono le creature fatate uscite dalla penna di Tolkien qui sarebbe il posto dove potrebbero trovare tutte una dimora perfetta…

Tuttavia, questo è anche un luogo dove un climber visionario alla ricerca della vera essenza del boulder può trovare ciò che cerca, quell’unione di sinuose linee scolpite nella roccia da comprimere e accarezzare percependone ogni minima ruga, il tutto in armonia con la natura e in un sereno ascolto di sé stessi. Tutto così lontano dal chiasso e dal frastuono, sia metaforico che reale, che caratterizza il boulder attuale, tanto che la ricerca di qualcos’altro può quasi sembrare un’utopia irraggiungibile.

Eppure, diverse sono le anime, spesso solitarie, che esplorano ciò che un tempo era l’essenza stessa dell’arrampicata. Tra queste, Niky Ceria rappresenta un simbolo ed un esempio, quell’eccezione che ti fa comprendere come l’autenticità vada cercata lontano dalle masse sbraitanti.

Nei suoi viaggi perlopiù solitari, dietro quel sorriso e quella riservatezza, si nasconde un ragazzo sensibile, umile e rispettoso, ma che al tempo stesso arrampica forte come pochissimi altri al mondo. La dimostrazione che i più alti risultati possono essere raggiunti anche là dove le mode e il clamore non riescono ad attecchire.

Per questo è sempre un vero piacere parlare con Niky e farsi raccontare le esperienze che ha vissuto nel suo essere un boulderista viaggiatore, dove vita e roccia si fondono a 360°.

Lo sappiamo tutti: Niky è appena tornato dalla Nuova Zelanda, da Castle Hill e Flock Hill in particolare, e sappiamo che i risultati ottenuti sono come sempre rilevanti! Eppure per lui sicuramente ogni viaggio è più che uno spuntare l’ennesimo progetto da una lista, ma è qualcosa di ben più profondo e totalizzante… 

Per questo, andiamo a ripercorrere insieme a lui questa sua ultima avventura, in un paese dove realtà e fantasia sembrano incontrarsi. 

 

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Niky sappiamo bene che nel tuo essere un eccezionale boulderista esploratore e viaggiatore la dimensione stessa del viaggio e del contesto in cui ti trovi hanno importanza tanto quanto i massi stessi. Sei di ritorno dalla Nuova Zelanda, una location tra le più affascinanti al mondo e che offre scenari naturali di una bellezza che toglie il fiato. Ci puoi innanzitutto raccontare quale è il tuo rapporto con questa terra, che hai visitato ora per la seconda volta?

Credo di avere un rapporto abbastanza speciale con la regione del Canterbury. A differenza di altre location popolari, Castle Hill rimane meno contaminata: è come se la percepissi più“pulita” rispetto altri posti “rovinati” quali Rocklands, Fontanebleau o Albarracin.
Questi ultimi sono accessibili a tutti e spesso ti ritrovi in un gran bordello dove puoi inciampare in chiunque, dal tuo vicino di casa, a gruppi di climbers che mettono la musica sotto i sassi e via dicendo.
Fortunatamente Castle Hill è distante da questo mondo, sia geograficamente che filosoficamente: spesso percepivo di essere in un luogo dove l’uomo è ancora secondo alla natura e dove i locals chiedono permesso ed entrano in punta di piedi.

Direi quindi che è un rapporto più personale: non essendo frequentato da diversi scalatori, e non essendo ancora stato sdoganato, le sensazioni sui sassi rimangono più intime e esclusive.

L’arrivo in aereo sul Canterbury è stato mozzafiato come la scorsa volta e i paesaggi sono di una bellezza incontaminata con luci e colori pastello che mi hanno emozionato esattamente come due anni fa. E poi sì, c’è tutta la parte di scalata che la rende ovviamente una destinazione tipica e unica al 100%.

 

Passiamo ora ai blocchi: Castle Hill è un’area nota da anni e dalle foto è la perfetta trasposizione su roccia della terra in cui si trova. Un ambiente incantato, massi dalle forme variegate e fantasiose, un’atmosfera onirica e surreale. Così almeno appare da foto e video. Ce la puoi descrivere sia da un punto di vista arrampicatorio che per l’aria che si respira lì?

Lo stile di scalata è assurdo e lascia spazio a movimenti che non ho mai trovato in nessun luogo, specialmente a livello tecnico. Si pensa ad esempio che Font sia un posto tecnico dove l’importanza del gesto può fare una notevole differenza. Se paragonato a Castle Hill, Font equivale a scalare in palestra su un pannello a 45°!!!

A Castle Hill infatti trovi forme incredibili, da alcuni ribaltamenti improponibili a diedri rotondi dove incastri tutti gli arti del corpo. Inoltre tutti i sassi hanno pochissima grana, quindi la scalata richiede condizione, precisione e molta pazienza. E per pazienza intendo decenni, non ore. 
Flock Hill invece si differenzia abbastanza dalla zona classica: essendo una roccia con più grip, lo stile si avvicina a quello che siamo abituati qui in Europa.

Malgrado ciò, anche il calcare di Flock, crea linee pure, logiche e pulite senza troppe deviazioni o prese superflue. Questo vale sia per blocchi semplici, sia per i sassi estremi.

Spesso su settimana sei l’unico scalatore in tutta la zona e ciò amplifica la bellezza e l’originalità del posto. Nell’intero bacino ci sono una marea di progetti da pulire o da liberare e il fatto che quasi nessun pro climbers straniero sia interessato a venirci è una delle fortune più grandi che mi sia capitata nell’arco della mia vita verticale. Spero che Hueco, Rocklands e Font mantengano tutti distratti ancora per qualche anno 

 

Come è la comunità arrampicatoria del luogo e come si approccia al bouldering? Hai riscontrato degli approcci/problematiche simili a quelle “occidentali” nel modo di fare boulder? oppure il loro essere geograficamente distaccati dal mondo consumistico occidentale e immersi in una natura dalla forza immane condiziona anche il come si approcciano all’arrampicata?

E’ una comunità più piccola rispetto quelle che ho trovato in altre zone del mondo.
La loro visione e il loro comportamento si distaccano notevolmente dal modello occidentale.
Essendo un ambiente privo di alberi, e con scarsa vegetazione, la maggior parte dei climber è molto attenta persino ai rifiuti di tipo organico. Usano meno magnesite e si adattano alla natura in maniera meno consumistica rispetto a quella che siamo abituati noi. Hanno un approccio più pulito e certamente invidiabile per diversi aspetti: dagli atterraggi, ai sentieri, dalla magnesite, ai tickmarks.
Spesso hanno l’usanza di lavare il blocco una volta finita la sessione, cosi che la gomma e il gesso possano andare via subito. Se pensi ad una cosa simile a Magic wood sarebbe improponibile ad esempio. Immagina di finire la sessione su Never Ending Story e dargli una lavata prima di andar via: i climber che arrivano dopo di te, al posto di ringraziare e comprendere, potrebbero persino passare per offesi.

Anche la pulizia di progetti nuovi non avviene mai con la spazzola di ferro, ma solo con spazzole di setole rigide e acqua che viene spruzzata sulla zona spazzolata. Ripentendo il processo si arriva alla pulizia perfetta delle prese senza nemmeno usare il ferro e quindi la grana fine rimane più intatta e meno rovinata. Anche io da due anni uso questa tecnica su diverse rocce, specialmente su quella di fiume o dove lo “sporco” va via semplicemente con dell’acqua e uno spazzolino, invece che con 100 passate di spazzola di ferro.

L’approccio cambia anche nella scalata in sé. Godono del dono della pazienza della dedizione, sanno aspettare il momento giusto ed adattarsi alla natura prendendola cosi com’è, senza alterarsi o lamentarsi di quanto un passaggio possa essere duro, impossibile o strano. A costo di provarlo e fallire per degl’anni.

Parecchi sassi sono complessi e scomodi da provare in top-rope, malgrado ciò esistono pochissimi chiodi. E i pochi che ci sono risalgono a qualche decennio fa.

Come scrive Stuart in un articolo, Castle Hill è un posto che premia la pazienza e punisce gli ego. E questa credo sia una delle ragioni per la quale diversi climbers scelgono destinazioni più comode e con “easy-ticks”.

Persino Bishop o l’Australia sono agli antipodi di diversi paesi occidentali, ma attirano una quantità di climbers ben più ampia rispetto questa. Quindi anche il mito della distanza geografica si può sfatare in un attimo.

 

La roccia di Castle Hill è calcare, la roccia usualmente meno amata dai boulderisti. Eppure la sua qualità sembrerebbe incredibile, le forme e le preensioni che crea spettacolari per il boulder. Tu che ben la conosci cosa ci puoi dire?

Personalmente penso sia una delle rocce migliori che abbia mai visto. Flock Hill è paragonabile a Red Rocks, Brione o a Font in termini di qualità. E anche Castle Hill non ha nulla da invidiare ai posti classici. Offre una scalata assurda, pazza e particolare. Asciuga subito e, grazie a queste conformazioni, diversi sassi godono di una purezza rara.

Malgrado ciò penso che la mia sia una considerazione puramente soggettiva. Se cerco di distaccarmi un attimo da quelli che sono i miei standard o le mie preferenze, posso dirti che la maggior parte dei climbers che conosco odierebbe questo posto e potrebbe essere un incubo trovarsi ad aver a che fare con questo tipo di roccia.

 

Il tuo viaggio in Nuova Zelanda è stato progettato in vista di obiettivi ben precisi o hai deciso di andarci per esplorare aree e blocchi che non avevi potuto visitare nella tua precedente visita?

A differenza di diversi viaggi, questa volta avevo delle linee che desideravo salire fortemente sin prima di partire, anche grazie al primo viaggio di due anni fa. A parte Fatal Flaw e Legion, ho sempre provato sassi che non avevo toccato nel viaggio precedente, quindi mi sono dedicato soltanto a roba che avevo visto o che mi era stata mostrata.

 

Come ha reagito la spalla, dopo il tuo brutto infortunio in Finlandia?

Direi bene. È stata la prima volta in cui ho potuto scalare per diversi giorni di fila senza provare eccessivo dolore.

Purtroppo la spalla sinistra è ancora parecchio debole rispetto alla destra e questo mi crea parecchi scompensi. Non posso dire che sia passato del tutto, ma spero che la differenza tra i due lati possa chiudersi con il tempo.

 

Ti abbiamo seguito di giorno in giorno sui social, affascinati dalle meravigliose foto che pubblicavi (vedete sopra!) oltre che dal valore dei tuoi risultati. Ci puoi riassumere e descrivere quelle che ritieni essere I risultati che più ti hanno motivato e soddisfatto?

La linea principale per la quale sono tornato in Nuova Zelanda è senz’altro Fatal Flaw, un vecchio progetto che provai nel 2016 con Stuart e che poi dovetti abbandonare appena arrivò la neve a Flock Hill. Nello stesso anno Stuart riuscì a liberarlo e, malgrado il posto sia cosi distante, continuai a pensare a quel pezzo di roccia nei due anni successivi.

Esteticamente è uno dei sassi migliori che abbia mai salito: l’intera facciata del masso è scalabile solo attraverso quella linea e offre a malapena le prese necessarie per salirlo.
La sequenza di movimenti parte in un’onda di calcare, quindi inizia in placca e diventa subito strapiombante per poi arrivare ad una rampa da accoppiare. Dalla rampa l’onda finisce, quindi il corpo rimane ancora nello strapiombo, mentre le mani iniziano a salire su dei piatti in una parte più verticale del sasso. L’ultimo movimento è un salto fichissimo ad un bucone perfetto che si trova in cima giusto prima del ribaltamento. Da lì hai ancora due prese buone prima di uscire. Nel complesso credo sia una delle sequenze più armoniche che si possano trovare in natura.
Un altro passaggio significativo è stato “Samson”, divenuto poi “Franco Columbu”, che è una famosa prua a triangolo che parte super aperta per poi stringersi sempre di più verso la cima. Una delle mie FA preferite J

Infine direi “Trifect Middle”, uno dei classici che non riuscii a provare nel 2016 e che desideravo provare sin dai tempi di Big Game, il film della Big Up Production.

 

Hai lasciato qualcosa per un futuro terzo viaggio oppure per ora sei “sazio”?

 Ci sono un paio di linee che potrebbero diventare le “Next Big Things”.
In cima alla lista c’è senz’altro “The Vatican”, il progetto più ambizioso della Nuova Zelanda che fa impazzire gli occhi di diverse persone.

Richiede parecchio impegno psicologico, diversi pad, paratori e anche notevoli skills per fare una sosta sensata e provarlo quindi con la corda. Io non avevo nessuna di queste quattro cose. Quindi non lo provai, ma sicuramente è uno di quelli che mi farebbe tornare.
“Captain Marvel” e “King line hunter” sono gli altri 2 progetti spaziali della zona e sono già nella mia testa per il prossimo viaggio.

E poi anche altre cose, dai classici strani di Quantum Field, a diverse linee ancora da pulire che magari non raggiungo la qualità di “The Vatican”, ma che potrebbero essere sufficienti ad accontentare i gusti di diverse persone.

Quindi sì, direi che ci sono diverse ragioni per le quali tornare. Probabilmente non pianificherò un viaggio a breve termine in questo posto, essendoci già stato 2 volte nel giro di cosi poco tempo.

È stato anche il mio primo viaggio oltreoceano da solo e la prossima volta mi piacerebbe tornarci con qualcuno in modo anche da avere più pad e qualche parata in più.

 

Alla fine del viaggio, uno dei moltissimi che ti vedono esplorare i quattro angoli del mondo, come giudichi questa esperienza per ciò che ti ha lasciato a 360°?

Super positiva.

Ogni giorno ho salito almeno uno dei sassi a cui tenevo ed è raro per me riuscire a gestire la scalata in questa maniera durante un viaggio.

Ho scalato tanto, la spalla non mi ha dato fastidio, ho re-incontrato i migliori climbers del mondo, ho salito alcuni dei sassi più belli in assoluto e tutto questo in un posto idilliaco e paradisiaco. Come al solito ci sarebbe sempre qualcosa per il quale lamentarsi o non essere contenti, ma direi che questa volta posso essere soddisfatto.

 

Sei appena tornato, ma sappiamo che già progetti la prossima esplorazione…puoi anticiparci la prossima destinazione oppure è ancora top secret?

Per ora sto a casa qualche mese. Mi riposo un po’ e voglio continuare a capire cosa c’è che non va nella spalla sinistra. Nel mentre scalerò un po’ in zona quando avrò tempo e poi se tutto va bene progetterò qualche viaggio per fine estate 

 

 Intervista di Alberto Milani

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