19 Giu Psicobloc
Attrazione e paura di una scalata sublime
Anche se la stagione non è propriamente adatta al deep water soloing, per quelli che sono stufi di vedere report di cascate ghiacciate, proponiamo questo interessante articolo di Rachele Sighinolfi, forte climber innamorata dello psicobloc. Sono parole speciali che raccontano il fascino irresistibile dell’arrampicata sulle scogliere di Maiorca. La differenza che c’è tra il salire sospesi sopra il mare delle cale di un rassicurante azzurro piscina, a quelle in mare aperto altissime, rosicchiate dalle onde che sbattono senza tregua creando un gran fragore ed in cui la paura di cadere scomposti ti prende allo stomaco.
Maiorca, sublime psicobloc
Testo: Rachele Sighinolfi
Immagini: Rachele Sighinolfi, Fabio Lasagni
Quando parti per Maiorca senza sapere con precisione cosa sia il Deep Water Soloing (come si dice, finché non provi, non sai), immagini il tuo corpo nell’acqua turchese, la sabbia bollente tra le dita dei piedi, la gente in costume e la salsedine sulla pelle abbronzata. E poi ti fai qualche spicciola domanda: sarà umida la roccia? Scalerò con la pelle macerata e raggrinzita? Le scarpette fradice terranno? Il naso va tappato quando entro in acqua? Ma soprattutto: sarò capace di tuffarmi decentemente o prenderò gli schiaffi del mare su tutto il corpo?
Magari a Maiorca ci vai suggestionato dal video di Klem Loskot e Tim Emmet in cui campeggia la scritta “Psicobloc”, scritta che, mentre prepari la valigia, si va a cacciare nell’angolo più remoto del cervello. Beh, in quel video Loskot dice: “Non realizzi bene a che altezza sei, ma quando cadi ti sorprendi di quanto a lungo stai cadendo, navighi nell’aria per un tempo eterno e stai ancora cadendo, cadendo e… puff. E ogni volta ti stupisci di quanto l’acqua sia morbida”. Qualche secondo più avanti, Loskot lancia a due grandi bocche di calcare lontanissime, a 12 m di altezza e cade, cade… Quando il video finisce, sei rapito, stupito, ammirato e terrorizzato da tutto quel vuoto. Vabbeh, dici, ma quello è Loskot.
Poi a Maiorca ci arrivi, infili le scarpette e prima ancora di staccare i piedi dalla canoa o dal gommoncino, il vuoto lo senti come se di metri sotto al sedere ne avessi già 10. Sfogli la guida con malcelata preoccupazione, cercando linee il più corte e facili possibile, ti rassegni a improvvisare traversi e appena cerchi di spingerti in verticale, ti prende un incontrollabile tremore alle gambe. C’è persino un istante preciso in cui ti dici che hai sbagliato vacanza, e non dura nemmeno pochissimo. Lì comincia l’estenuante lotta che muove l’arrampicatore sulla roccia: la lotta tra le proprie paure e la propria tenacia.
A Maiorca, quel confronto si fa molto più duro: la costa è splendida, i colori della roccia a picco sul mare sono intensi e vivacissimi, declinano tutte le gradazioni dal rosso al giallo, alternate ai grigio-azzurri e ai neri. Le forme lasciano sognare passi di danza fisica e possente tra buchi enormi, tacche, svasi, verticali, buste e biditi, ma l’altezza atterrisce. Ci sono vere e proprie falesie sul mare: quelle nelle cale sono più rassicuranti, con un pavimento azzurro chiaro da piscina, ma quelle costiere, in mare aperto, altissime, tolgono il fiato, non solo per la bellezza.
Il fragore del mare per le onde che sbattono, la schiuma bianca del blu scuro che ribolle, la paura di cadere scomposti: lo stereotipo spensierato della vacanza al mare evapora. Se avevi creduto o sperato che si trattasse di un’attività quasi “giocosa” (sono al mare, c’è il sole…), più affine al boulder (in quanti paragonano il mare a un crash pad…), in breve devi affrontare un bel “bagno freddo”, e calarti nello spirito più spietato dell’alpinismo. D’un botto, capisci lo "psico" e il "solo". Qualche poeta definirebbe la sensazione che si prova “sublime” o “dilettoso orrore”, cioè un misto di terrore e attrazione, di vuoto e desiderio di riscatto dal vuoto, di resistenza. Ti fa incazzare far psicobloc, ti repelle e attrae al contempo. Ti estasia e ti sfinisce. E più ti vorresti sottrarre e più ti ammalia, e più ti vorresti allontanare da quelle linee accattivanti, più rigiri le scarpette tra le mani che fremono. Parti.
Indietro non si torna, non ti puoi appendere, puoi solo andare avanti spensierato o cadere. Puff. Spensierato, perché di pensieri che pesino non ne devi avere, le braccia sono già abbastanza sfinite. E quando, dopo qualche tuffo (si cade ahimé, se provi vie al limite), cominci a muoverti spensierato, beh, in quell’istante lì capisci che non hai sbagliato vacanza, che anzi, forse, stai assaporando qualcosa di inaspettato: stai vivendo la forma più libera della scalata. Sei tu, spogliato di corde, rinvii e pensieri inutili. Devi solo concentrarti e arrampicare. Punto.
Quel sentimento orroroso (orrorifico) non passa del tutto, la vittoria sta, però, nell’affrontarlo con atteggiamento beffardo e sereno, spesso fintamente sereno. D’altro canto, le ballerine non ballano sulle punte con sforzo immane e uno splendido sorriso? Allora, senti finalmente che prendi confidenza, i movimenti da goffi diventano fluidi, anche se talvolta i tremori sopraggiungono sul passo d’uscita, ma in quel momento resisti come se il mare sotto fosse affollato di bocche spalancate di squali bianchi. Percorri le linee con una danza eroica sotto lo sguardo partecipe degli altri arrampicatori, che urlano a squarciagola “C’mooon”, come se non ci fosse un domani.
Sali, ti elevi e ti riscatti dalle tue angosce. Impari anche a rassegnarti alla caduta, lasci che il tuo corpo la accetti e si disponga naturalmente: le braccia mulinano nell’aria per bilanciare i pesi (o nel vano tentativo che da eliche ti portino verso l’alto), e dritto come un proiettile perfori l’acqua per riemergere subito come un galleggiante.
Quando, invece, ce la fai, quando la catena dei movimenti non si spezza e ogni tua fibra è concentrata nell’ascesa, quando, dopo aver osato con convinzione, ti trovi su un pezzo di roccia che non ti sfida più, prima sospiri, poi ti lasci invadere da un sentimento impagabile di fierezza, di eroismo, di conquista.
Hai domato quella salita e dal tuo podio ti prendi gli applausi ammirati, solidali di chi dal basso non ti ha schiodato gli occhi dalla schiena. C’è chi, raggiunta la sommità si ributta giù, gesto che chiude un dominio completo. Ma sempre con volto fintamente sereno. Che al mare non neghi mai un riconoscimento di superiorità. Questo è il sublime dello psicobloc.
Qualche aspetto tecnico:
– La guida indispensabile è Mallorca: Sport Climbing and Deep Water Soloing di Alan James, Mark Glaister, e indica non solo le linee e i gradi ma soprattutto dà un indice di pericolosità, stimato sulla base della profondità del fondale, della presenza di scogli, dell’altezza del crux;
– Un buon punto da cui partire è facile soprattutto psicologicamente è Cala Varques, una caletta protetta, dal mare azzurro, molto frequentata e davvero divertente. Lì c’è anche chi tira la slackline sopra al mare, non risparmiando piroette e straordinari numeri di equilibrio;
– Anche in estate è possibile trovare qualche falesia fresca, dove ritrovare il caro cordone ombelicale di corda, imbrago e rinvii;
– Si scala con le scarpette bagnate e gli appigli appena toccati dal sole e dalla brezza si asciugano completamente; il periodo migliore è settembre, magari dalla seconda metà in avanti;
– Purtroppo Maiorca è stata colonizzata da un turismo efferato e talvolta poco rispettoso dell’ambiente; ci sono luoghi sfregiati da palazzi che si sono conquistati la prima fila sulle scogliere, ma l’isola rimane splendida e qualche spiaggetta incontaminata e nascosta si trova ancora.