
15 Apr Sei vie e una stagione (della vita)
Il nuovo numero di UP CLIMBING è arrivato nelle edicole. La destinazione di questo viaggio nel mondo dell’arrampicata è ROMA, una città con una grande tradizione alpinistica.
Per stuzzicare la curiosità del mondo verticale abbiamo deciso di proporvi un estratto dall’articolo Sei vie e una stagione (della vita), firmato da Alessandro Jolly Lamberti. Certi che questa piccola parte della storia vi farà emozionare, arrabbiare, entusiasmare e sudare le mani, vi invitiamo alla lettura dell’intero articolo su UP CLIMBING.
Sei vie e una stagione (della vita)
Sono quarant’anni che rubo le prime salite delle vie più dure del Centro Italia ai legittimi proprietari. Talvolta chiodatori generosi me le hanno regalate, come il mitico Toffa, o Giordano Renzani, o Alfredo Smargiassi: le chiodavano per me, e oggi pubblicamente li ringrazio. Ma il più delle volte le ho rubate. Con la scusa che la scalata è uno sport, e che pertanto non ci può essere una gara con un unico concorrente. O che in nessuno sport il tracciatore traccia per sé la prestazione che lui stesso definisce e quantifica.
Balle, lo capisco oggi, dopo quarant’anni, che sono balle: il tracciatore si fa il culo, si sporca le mani, spende soldi, trova la linea, la “crea” ottimizzandone le proporzioni come un pittore sulla tela, consuma il suo tempo. E poi la scalata in falesia non è uno sport – non è solo uno sport. Il ricordo del tempo, uno dei primi 8b italiani, lo rubai a Finocchi nel 1986. E così anche Il corvo, il primo 8c dell’Italia centrale, e Input, Er Cid, sempre 8c, sempre sottratte a Finocchi che le aveva chiodate. La via più dura di tutte, invece, è stata un regalo, ma dopo vent’anni non sono riuscito ancora a salirla. Me la regalò Alfredo all’alba del 2000: Ultimo tango a Zagarolo. La provai per quindici anni senza riuscire, mi mancava un pelo: partivo appeso al primo spit, con il blocco iniziale già impostato, e arrivavo in catena.
Una buona parte di questo percorso lo feci insieme a Stefano Finocchi, il più forte, il più creativo, il più simpatico degli scalatori romani.
Ho ventun anni, c’è una via, alla fascia superiore di Sperlonga, che non è riuscita ancora né a Stefano Finocchi né a Andrea Di Bari e il cui nome è Il ricordo del tempo. Voglio fare quella via. […] Il “Dibbari” è occupato a provare La cura dei tendini, vuole salirla e dire che è quella la via più dura del Centro Italia. Ho il campo libero, sono tutti e due fuori gioco: il bamboccione sta preparando un colpaccio. È da Natale che la sto provando anche tre volte a settimana, quando trovo qualcuno che mi accompagna; ora che è fine marzo mi sento pronto.
La prima volta mi è sembrata impossibile, non sono stato in grado di salire neppure un movimento: riuscivo a restarci attaccato soltanto se mi tenevo con entrambe le mani e i piedi puntati, ma non appena provavo a staccare un solo arto cadevo. Per fortuna, già allora conoscevo il segreto per lavorare una via: quello che sembra impossibile le prime volte, un giorno diventa possibile. Quello che riesce subito, invece, non rappresenta il tuo limite. Prova, riprova, spellati le dita, torna a casa sconfitto, poi prova ancora. Chiuso nella mia stanza, seduto sul letto, con la schiena addossata al muro, il libro di fisica sulle ginocchia e la penna Snappy verde tra i denti, penso e ripenso ai movimenti della via. La visualizzazione è così vivida e tridimensionale che mi sembra di salirla veramente: sulla punta delle dita sento pungere la roccia aguzza, il cuore accelera, le mani sudano.
Alessandro Jolly Lamberti
UP CLIMBING #7
Roma
Edizioni Versante Sud