Zeni: una vita in punta di piedi - Up-Climbing

Zeni: una vita in punta di piedi

Quattro chiacchiere con Alessandro Zeni, un giovane controcorrente.

Alessandro Zeni, classe 1991, è uno scalatore italiano decisamente controcorrente. In un’epoca dove la maggior parte dei forti scalatori sono attratti dai 9a più commerciali e famosi, Alessandro si concentra su uno stile quasi desueto, tanto insidioso quanto affascinante. Le sue capacità di scalatore “placchista” sono migliorate di anno in anno, di appoggio in appoggio, e si sono spinte lontano, fino al primo 9b al mondo sul genere verticale, Cryptography. Il masterpiece dell’atleta del C. S. Esercito però sembra essere un altro, fresco fresco di una re-first ascent: Eternit. Inizia ora un tuffo nella vita di Alessandro, fatto di piccoli appoggi in falesia e semplicità nella vita. In breve, una vita in punta di piedi. 

Eternit: qual è la sua storia?

“Eternit” è una via aperta e liberata nel 2009 da Maurizio Zanolla nella falesia del Baule sulle Vette Feltrine. E’ una via divenuta famosa per essere tra le vie in placca più difficili al mondo, la via più difficile salita dallo stesso M. Zanolla.

La falesia del Baule è qualcosa di eccezionale: una lastra di calcare chiaro, quel calcare compatto tipico delle falesie d’alta quota. La sua peculiarità è che appare a prima vista liscia e priva di appigli. Molto probabilmente in ere geologiche lontane una lingua di ghiaccio aveva smussato ogni spigolo di questo muro rendendolo perfettamente verticale e compatto.

“Eternit” sale proprio lì, nel mezzo di quella lastra di roccia.

Guardando questa parete dal basso sembra proprio di vedere un mare perfettamente calmo e lì, dove finisce la prima parte di “Eternit” chiamata “O ce l’hai o ne hai bisogno”, un’increspatura è l’unico punto dove quel mare muove la sua unica e lieve onda prima di tornare ad appiattirsi. Per affrontare un mare di questo tipo bisogna essere come una barca a vela, lasciarsi trasportare dalla corrente, cercando continuamente un nuovo equilibrio.

Quella via nata lassù tra le Vette era semplicemente una via incredibile, un sogno bellissimo…

E invece… Ale e Eternit: qual’è la vostra storia?

“Eternit” è stato per me un sogno che ho visto nascere dentro di me nel lontano 2010 quando la provai per la prima volta. Allora non ero ancora entrato a far parte del Centro Sportivo dell’Esercito, non ero un professionista, ma solo un ragazzo che aveva questa enorme passione per la scalata, uno ragazzo che appena aveva uno spazio di tempo scappava a scalare tra le montagne in cerca di libertà.

Posso dire che sono stato uno delle poche persone che ha avuto la possibilità e la fortuna di conoscere “Eternit” com’era, nella sua bellezza più assoluta. Citando le parole di Manolo quando la liberò: “una via incredibile. Completamente naturale (a parte una presa consolidata).” Questo era “Eternit” la via che ho conosciuto, semplicemente perfetta e che in quegli anni andai a provare.

Un sogno incredibile di quel giovane ragazzo che ero allora, destinato purtroppo ad infrangersi.

Alcuni anni dopo, infatti, mi giunse la notizia che Alessandro “Jolly” Lamberti andò a provare questa bella linea denunciando che la via era stata manomessa ad opera di ignoti pubblicando sulla prima versione del suo libro “Run out” le prove in cui si vedevano profondi cambiamenti.

Purtroppo quando tornai a provare la via dovetti accettare la triste verità, qualcuno effettivamente l’aveva irrimediabilmente rovinata togliendo delle prese che ritenevo essenziali.

Il mio sogno allora si infranse, quel bellissimo desiderio che avevo visto nascere ora di colpo si era annullato.

Per me questa è stata la parte più difficile: affrontare questa sfida nonostante le difficoltà.

E’ stato come quando nella vita ti trovi di fronte a un ostacolo molto difficile da superare e d’un tratto qualcosa, che ritenevi indispensabile per raggiungere il traguardo che ti eri prefissato, ti viene a mancare. Reagire in quel momento non è affatto facile, perché la reazione immediata più comune è quella di arrendersi, dimenticare quel sogno giustificando la sconfitta con una frase che risuona pesante in ognuno di noi: “ora non ce la posso più fare, ora è impossibile!”.

In altre occasioni simili mi era capitato di arrendermi e anche questa volta la reazione fu proprio quella e per anni mi convinsi che non ci fosse più alcuna possibilità.

Così mi guardai attorno in cerca della placca perfetta, le mie abilità aumentarono e dopo anni di ricerca nacque “Energia cosmica” e qualche anno dopo fu la volta di “Cryptography”.

Poi arrivò il covid e forse grazie anche alle restrizioni che vennero imposte mi tornò in mente “Eternit” e la falesia del “Baule”. Fu allora che mi resi conto che non avevo più altre vie difficili da fare vicino a casa.

Ma le emozioni erano contrastanti dentro di me, davvero ero pronto a sfidare l’impossibile?

E’ facile dire in quei momenti che bisogna far finta di niente, rialzarsi e ripartire ma la verità è che non è affatto facile. Per poterlo fare spesso non basta la propria forza, non puoi contare solo su te stesso, avere le persone giuste al tuo fianco è la chiave per ripartire, per tornare a sognare, per non arrenderti e portare a termine quel percorso.

“Eternit” non è stato solo una via dal grado difficile è stata una ricerca interiore profonda dove l’impossibile è divenuto possibile ed infine realizzabile, un sogno divenuto realtà nonostante tutti gli ostacoli che ho incontrato lungo il cammino. Il 2 novembre 2021 rimarrà una data indelebile nei miei ricordi non solo come scalatore ma soprattutto come persona.

La placca è un amore che ti accompagna da sempre, ti ha portato dai primi passi al primo 9b al mondo, liscio come una colata di cemento: com’è per te la scalata su questo stile? Quali capacità servono?

La scalata in placca per me è un amore profondo nato fin da subito, visto che la quasi totalità delle vie più difficili che ci sono vicino a casa mia sono su questo stile. Una scalata dove la forza fisica è importante, ma che passa in secondo piano rispetto a vie in forte strapiombo.

Su un muro verticale conta molto di più saper usare i piedi, avere dita forti e una certa dose di scioltezza per risolvere i rebus che si incontrano salendo lungo la via.

Chi mi conosce sa bene che non sono mai stato un forte scalatore e se c’è qualcosa che proprio mi manca per poter esprimermi allo stesso modo su pareti più strapiombanti è la forza muscolare.

Con gli anni ho dedicato tutto me stesso a ciò che amavo veramente e mi sono perfezionato su questo stile di scalata, dove conoscere il proprio corpo è qualcosa di particolarmente importante, dove anche solo il pensiero sbagliato ti può far cadere. Amo molto questo genere perché richiede un ulteriore sforzo rispetto alla scalata in strapiombo (dove o ne hai a sufficienza oppure non passi), qui serve molta calma e a volte succede addirittura che passi giorni interi per cercare di risolvere un solo movimento: magari mettendo il dito anulare sopra il medio anziché il medio sopra l’indice può fare la differenza, “sentire” le prese una ad una sotto i polpastrelli, avvicinare o allontanare il bacino dalla parete.. Dettagli invisibili, ma che alla fine sono quelli che contano e che fanno la differenza!

“Il piccolo principe” dello scrittore Antoine de Saint-Exupèry è il mio libro preferito e mi piace molto la frase in cui dice: “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”

 

Spesso scali con una vera leggenda: Scarian. Che rapporto vi lega e com’è scalare con Riccardo?

Per me Riccardo “Sky” Scarian è stato un grandissimo maestro una vera e propria leggenda di quando iniziai a scalare! Ricordo ancora quando facevo le prime gare e in una palestra vidi appeso il suo poster fuori da uno spogliatoio. Ammetto che lì la tentazione fu davvero troppo grande e quel suo poster finì sulla mia parete della camera da letto.

Mi arrabbiai molto quando anni dopo mia madre, per dipingere la stanza lo staccò e lo buttò via. Era davvero un idolo per me, fonte di ispirazione per quello che faceva, per il suo modo di essere quando lo vedevo in falesia, per la sua semplicità e umiltà.

Quando iniziammo a scalare assieme io non ci potevo credere, avere un maestro del suo calibro mi ha spinto ad arrivare dove sono ora, senza di lui non so se sarei mai arrivato a raggiungere certi traguardi. Il bello del rapporto che si è costruito tra di noi è stato proprio la totale assenza di invidia, lui mi ha trasmesso tutto ciò che poteva e non ha mai voluto che io lo vedessi come un idolo. Per questo in poco tempo quello che era un rapporto “allievo-maestro” si è trasformato in una profonda amicizia che ci portò a fare molte salite assieme, sia in montagna che in falesia.

Quest’anno abbiamo tra l’altro completato l’apertura dal basso di una difficile via a più tiri su una parete selvaggia in Val Nuvola. “Wu Wei” questo il nome della via che non appena avremmo l’occasione inizieremo a provare per la salita in libera. Questa via non è solo difficile, ma è già di fatto divenuta il simbolo di questa amicizia nata tanti anni fa.

Molto spesso nelle nuove leve c’è tanto livello ma poca personalità. Arrivando da un’altra generazione, come vedi questi giovani?

Io credo che prima di tutto ognuno debba essere libero di vivere la scalata come meglio crede e che il giusto o sbagliato non esista in questo caso.

E’ bello che ci siano scalatori che nei loro racconti sappiano trasmettere quelle emozioni che anch’io provo quando scalo, ma il più delle volte sono climbers della mia generazione o più vecchi di me.

Alle volte però rimango piacevolmente sorpreso quando leggo di qualche giovane climber che parla della sua salita, magari di un bel 7a, raccontando una vera e propria storia di come ha fatto a raggiungere quel suo sogno. Storie di climbers alle prime armi, come lo ero io un tempo, ma che hanno la capacità di coinvolgermi moltissimo, molto di più dell’ennesima salita di un 9a in Spagna.

Il bello della scalata è proprio che non c’è differenza a livello emotivo tra uno scalatore che prova il 6a, come suo grado limite, rispetto a chi si cimenta sul 9b. Per me leggere una bella storia è sempre qualcosa di importante, mi fa rivivere quello che magari ho provato io il giorno prima andando a scalare in falesia.

Diciamo che oggigiorno molti climbers la vedono come un vero e proprio sport dove il risultato finale, il numero di tentativi, il grado e i movimenti sono gli unici fattori di rilievo.

Forse è giusto sia così, però personalmente sono un po’ dispiaciuto quando escono notizie di salite importanti dove non viene trasmesso nemmeno un’emozione, ma solo tecnicismi di dove si trova il passaggio chiave, di quanti centimetri sia la presa, l’inclinazione della parete… Un po’ come guardare uno di quei film americani pieno di effetti speciali incredibili, ma con una storia che alla fine non ci lascia nulla dentro quando finisce.

Non voglio però essere frainteso e non dico che sia giusto o sbagliato, ma solo che un film di questo tipo, per come sono fatto io, fatico a vederlo fino alla fine.

Sono il primo a dire che il grado sia un fattore importante perché è ciò che mi spinge ad andare oltre a confrontarmi con delle salite sempre più difficili. Ridurre però la scalata a solo numeri e lettere lo vedo riduttivo. Stiamo parlando pur sempre di una disciplina in cui quando stacchi i piedi da terra è impossibile non avere nessun emozione, tutti noi combattiamo costantemente con le nostre paure.

Classica domanda: progetti futuri? Gare? Montagna?

Ho lasciato il mondo delle gare alcuni anni fa, è stato un periodo importante della mia vita e credo che il confronto diretto con degli avversari in gara sia stato per me fonte di grande crescita personale.

Quando sei in gara non ci sono scuse, non puoi raccontarla che sei il migliore, perché alla fine la classifica e i giudici tirano le somme.

Il mondo delle gare mi ha insegnato ad accettare i miei limiti e che esiste sempre chi è più forte di te, ma questo mi ha stimolato molto ad allenarmi e a cercare di dare il meglio di me e se qualche volta, tra i tanti volumi in forte strapiombo, c’era qualche placca potevo anche dire la mia.

Per me ancora oggi è molto stimolante allenarmi con i miei compagni di squadra dell’esercito: in particolar modo quando mi alleno con Marcello Bombardi! Lui ha davvero una forza impressionante!

Parlando dei miei progetti futuri in questo momento sono orientato verso la montagna.

Il prossimo anno assieme ai miei compagni di squadra della Sezione Militare di Alta Montagna del centro sportivo dell’esercito stiamo organizzando una nuova spedizione extraeuropea. Per me sarà sicuramente un’esperienza grandiosa! Questo ovviamente richiederà una certa dose di sacrifici, abbandonare la falesia e prendere in mano le picche per essere pronto ad affrontare ambienti severi. Troverò comunque anche degli spazi per continuare ad allenarmi su roccia, di progetti ce ne sono tantissimi quindi ho solo l’imbarazzo della scelta!

 

Fonte e cortesia foto Alessandro Zeni

AP

 

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