Elements of Life, 900 m, AI5, M6 - Up-Climbing

Elements of Life, 900 m, AI5, M6

Emanuele Andreozzi e Matteo Faletti hanno aperto “Elements of Life” sulla parete nord del Cimon della Pala (Pale di San Martino, Dolomiti).

“Elements of Life” affronta la parete nord di una delle cime-simbolo delle Pale di San Martino partendo da una cascata già scalata nel 2020 da Patrick Gasperini e Flavio Piccinini con Tiziano Vanzetta. A monte della cascata Andreozzi e Faletti hanno tracciato la loro linea su terreno vergine. Un terreno che, apparentemente, è a dominante rocciosa. Ma non solo: osservando la parete dal giusto punto di vista è stato possibile scovare una linea di ghiaccio e misto.

Emanuele Andreozzi racconta:

Avevo notato questa linea a fine marzo durante un giro con gli sci sulla Cima Vezzana per il Canalino del Travignolo. Ci eravamo approcciati alla gita scialpinistica dalla Val Venegia nonostante, rispetto al classico accesso, comportasse più sviluppo e dislivello. Tale scelta si è poi rivelata una vera fortuna, infatti in questo modo abbiamo notato la linea, che dal Passo Rolle resta invece completamente nascosta.

Il 1° aprile Matteo Faletti accetta di partire con Emanuele Andreozzi per esplorare questa linea misteriosa, invisibile fino all’ultimo momento.

Partimmo al buio, ma ben illuminati da una luna particolarmente radiosa. Le colate rimasero completamente nascoste, non riuscimmo a vederle neppure quando imboccammo il canale che ci avrebbe condotto alla loro base. Era ormai l’alba e noi eravamo quasi giunti alla fine del canale ma ancora del ghiaccio non vi era traccia. In quel momento, mi misi nei panni di Matteo, che non solo non aveva visto le colate in nessuna delle foto della parete che gli avevo fornito, ma non le vedeva neanche adesso che eravamo lì, ipoteticamente a pochi passi. Ancora adesso immagino che in quel momento debba essergli passato per la mente il dubbio che lo stessi conducendo in un posto dove non c’era nulla. La situazione era talmente paradossale che quasi iniziai a dubitare anche io di ciò che avevo visto. Poi finalmente, le colate apparvero e tirai un sospiro di sollievo, le mie non erano state allucinazioni e la festa poteva avere inizio!

Matteo aprì le danze salendo un primo tiro su ghiaccio, poi a me toccò un muro perfettamente verticale. Il ghiaccio era di ottima qualità, le picche entravano al primo colpo, furono sessanta metri di pura goduria. Ci guardammo pieni di entusiasmo, quasi increduli. Eravamo ad aprile, in Dolomiti e stavamo scalando su un ghiaccio perfetto con alle spalle la parete sud della Marmolada! Cosa volere di più? Matteo salì un ultimo breve tiro su ghiaccio ed eravamo sul nevaio. A quel punto si aprivano varie opzioni, più o meno difficili, avevamo solo l’imbarazzo della scelta. Entrambi concordavamo nel rimanere sul piano originale e quindi seguire la linea più facile e logica della parete. Salendo faticosamente il nevaio, puntammo così ad un grosso camino in alto sulla sinistra. Il camino ci regalò diversi tiri agevoli e divertenti, su terreno misto, nel più tipico stile delle goulotte dolomitiche.

A un certo punto notammo che, in alto, il camino era sbarrato da una ripida parete, sulla quale c’era una fessura strapiombante che aveva l’aria di essere fattibile, ma di certo non si prospettava semplice. In quel momento toccava a Matteo scalare da primo e mi disse che, secondo lui, se avessimo traversato a destra, uscendo dal camino e portandoci al di là dello sperone, avremo avuto buone possibilità di aggirare l’ostacolo. Ero assolutamente d’accordo! Cercare il “facile nel difficile” rimaneva il nostro mantra. Raggiunto Matteo sul filo dello sperone dove aveva sostato, lo scavalcai e proseguii su un facile pendio di neve e roccette, in cima però dovetti bucare una rognosa cornice, quasi verticale. Quando la rimontai, non volevo credere ai miei occhi, mi trovavo su una perfetta “pinna di squalo”, affilata come un rasoio ed esposta sul vuoto in piena parete, esattamente sopra la ripida fessura strapiombante che avevamo aggirato. Ero esterrefatto, non mi sarei mai aspettato di imbattermi in una struttura del genere. Inoltre, davanti a noi avevamo un bellissimo camino che sembrava proprio allettante da scalare. Ci guardammo entusiasti, questa via ci stava sorprendendo oltremodo. Quel camino, era palesemente il tiro chiave della via e toccava a Matteo salirlo. Il ghiaccio, seppur non particolarmente abbondante, si trovava nei punti giusti e la scalata fu piacevole. Nella parte finale però, proprio dove si doveva superare un grosso strapiombo che rappresentava il tratto più difficile, Matteo dovette lottare per buttare giù un grosso fungo di neve che sbarrava la strada. Sbarazzatosi del fungo, scalò lo strapiombo e attrezzò una sosta appena fuori dal camino. Purtroppo non riuscii a togliere il chiodo che Matteo aveva piantato alla base dello strapiombo. Sarà questa, insieme alla prima sosta di calata che abbiamo attrezzato durante la discesa, l’unico segno di passaggio che lasceremo lungo la via. Abbiamo recuperato tutto il resto del materiale usato, compresi i chiodi piantati alle varie soste. Ci tengo molto a lasciare la montagna pulita come l’ho trovata e abbandono materiale solo quando non è possibile farne a meno.

Scalai il tiro successivo su un divertente diedro di roccia, particolarmente ricco di ottimi ganci per le picche. Al suo termine, bucai un’altra cornice, più piccola e meno appariscente di quella a pinna di squalo, che sanciva la fine definitiva delle difficoltà. Da lì, proseguimmo verso la cima per circa 200 metri in conserva su un canale ripido, intervallato da brevi salti di roccia e ghiaccio, che era semplicemente la logica prosecuzione della nostra linea. Il canale terminava in una forcella sulla cresta sommitale, la cima era solo una ventina di metri sopra le nostre teste. Peccato che da quel punto non potevamo raggiungerla, che fregatura! D’altronde era il primo di aprile e la montagna ci aveva fatto il suo scherzetto.

La discesa, complicata e impegnativa, è stata fatta di nuovo lungo la parete nord, non lungo la via di salita ma nella sua porzione sinistra (verso il Passo del Travignolo), alternando tratti di arrampicata in discesa su ripidi nevai e calate in doppia.

Terminate le calate proseguimmo la discesa scendendo verso il punto dove avevamo lasciato i nostri sci, nei pressi dell’attacco della via. Per raggiungerli fu necessario un ultimo breve tratto in salita, giusto una trentina di metri di dislivello facenti parte di un classico itinerario scialpinistico e che per questo erano tracciati. Ci mettemmo a ridere quando feci notare che quei miseri trenta metri erano l’unica traccia che avevamo incontrato in tutta la giornata, il resto ce lo eravamo guadagnato con le nostre forze…

 

Pale di San Martino, Dolomiti (Trentino-Alto Adige)
Cimon della Pala, versante nord
Elements of Life
Emanuele Andreozzi, Matteo Faletti, 1° aprile 2021
900 m, AI5, M6

 

Materiale. Classico da ghiaccio e misto, una serie di friend (fino al blu BD più i micro), nuts, chiodi da roccia e una serie di viti sia corte che lunghe. Materiale da abbandono per le doppie.

Accesso. Consigliato in sci. Dal Passo Rolle raggiungere la Baita Segantini. Dirigersi verso l’evidente canale in cima al quale si trova l’attacco della via. All’attacco si trovano ben tre colate di ghiaccio. Durante la prima ascensione Andreozzi e Faletti hanno scalato quella centrale, traversando poi su quella di sinistra in alto sotto la candela. Quest’ultima era totalmente scollata quindi non percorribile.

Relazione. Vedere foto con tracciato.

Discesa. Piuttosto impegnativa e complessa. Dalla forcella dove termina la via scendere dritti sul versante nord che di fronte alla Cima Vezzana. Arrampicare in discesa nei punti più facili su neve e attrezzare alcune doppie nei tratti su roccia ripida. Il versante è vasto, meglio non contare sugli ancoraggi attrezzati dagli apritori: non è facile trovarli. Finite le doppie proseguire a piedi fino a tornare nei pressi dell’attacco della via (deposito sci – vedere foto con tracciato).

 

Informazioni e immagini fornite da Emanuele Andreozzi e Matteo Faletti.

 

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