03 Giu Grandes Jorasses – Plein Sud
Marcello Sanguineti, protagonista con Sergio De Leo, Michel Coranotte e Marco Appino dell’apertura di Plein Sud sulla parete meridionale di Punta Walker (Grandes Jorasses), ricostruisce la storia di quell’angolo di Monte Bianco e racconta in modo avvincente le fasi salienti dell’ascensione.
“Una muraglia infernalmente viva sembra opposta allo sforzo dannato del ghiaccio che vuole entrarle nel cuore” (Guido Alberto Rivetti 1923)
Grandes Jorasses, parete S: Plein Sud, 900m, VI, WI4+/5R, M6+
Sergio De Leo, Michel Coranotte, Marcello Sanguineti, Marco Appino – 22 maggio 2010
di Marcello Sanguineti
La storia della parete S delle Grandes Jorasses, che con i suoi 1200 metri precipita sul piccolo ghiacciaio di Pra Sec, è incredibilmente breve.
“Una muraglia infernalmente viva sembra opposta allo sforzo dannato del ghiaccio che vuole entrarle nel cuore”: così nel 1923 la definisce Guido Alberto Rivetti, durante la scalata, realizzata insieme a Francesco Ravelli e Evariste Croux, della cresta di Pra Sec. La salita, durata tre giorni, percorre un itinerario in seguito ripreso non più di cinque o sei volte.
Nel luglio 1928, l’esploratore-alpinista americano Albert Rand Herron, Evariste Croux e il cugino di quest’ultimo salgono l’allora inviolata cresta di Tronchey.
Poi, più nulla per 44 anni. Soltanto nel 1972, Alessandro Gogna e Guido Machetto s’ingaggiano nella scalata di quella “parte inferiore della parete” che è ancora vergine, realizzando una grande salita in stile esemplare.
A partire dal 1979, sulla S delle Jorasses si posano gli occhi attenti di Gian Carlo Grassi. Inizia così la sua attesa per la realizzazione di una via su ghiaccio che rappresenta la quintessenza dell’effimero. La via vede la luce nel 1985, ad opera della cordata Grassi/Luzi/Rossi: è la “Gianni Comino Memorial”, o “Phantom Direct” (1400m VI/6). La salita è documentata da Grassi sul numero di novembre-dicembre 1985 della Rivista Mensile del CAI (pp. 575-579), un racconto che val la pena leggere. Dopo i 450 metri di goulottes e il canale centrale, l’idea iniziale era quella di infilarsi nel ventre del “mostro”, l’enorme camino che incide perentoriamente la parte superiore della parete, fino alla brèche con la III Torre di Tronchey. Ma il ghiaccio è scarso e il dry-tooling non è ancora nato, così i tre decidono di fare una lunga traversata a sinistra, all’inizio del canale nevoso superiore, e risalire su aleatorie strutture di ghiaccio il couloir dove passa la via del 1923. La “Phantom Direct” è a tutt’oggi irripetuta.
Devono trascorrere altri 25 anni perché un’altra via veda la luce su questa parete, sfruttando proprio il “camino-mostro”: il 22 maggio 2010 nasce “Plein Sud”, la nostra “linea fantasma” sulla S delle Jorasses.
Sergio teneva d’occhio la parete da anni, aspettando il momento propizio, da cogliere al volo. Dopo essercelo lasciato sfuggire a fine aprile, il maltempo ci ha costretti ad aspettare un altro mese. Il 22 maggio riusciamo a mettere insieme due cordate – Sergio con Michel ed io con Marco – con il solito gioco d’incastri richiesto dagli impegni lavorativi.
Venerdì 21 maggio, partiti alle 14:30 dagli chalets di Tronchey, verso le 19 siamo a un centinaio di metri dalla terminale, sotto una parete rocciosa, in un buon posto da bivacco. Due di noi vanno in perlustrazione fino alla terminale. L’idea iniziale era quella di portarsi in alto già il primo giorno, per bivaccare all’inizio del couloir centrale, dove la Grassi/Luzi/Rossi traversa a sinistra. Purtroppo, però, a quell’ora le prime goulottes sono trasformate in vere cascate d’acqua. In compenso, scopriamo che la terminale è semplicissima da superare. Incredibile!! E pensare che, prima di vederla da vicino, eravamo rassegnati a giochi di equilibrismo, corde fisse e chissà cos’altro per superarla…
Rientrati al posto da bivacco, mettiamo la sveglia verso l’una e un quarto e partiamo alle due di sabato notte. I primi 450 metri di goulotte, fino a WI4+, se ne vanno veloci, al buio, di conserva assicurata. Nella cascata della “forra”, come la definì Grassi, non vogliamo rischiare inutilmente e facciamo un bel tiro, che, dopo un’altra trentina di metri più facili, porta nel canale di accesso al gran camino, che si sviluppa con pendenze sui 50°.
Verso le 7 siamo alla base del “mostro”. Dannazione!! Neppure da qui si vede se c’è una goulotte che lo percorre fino in cima… Ancora una volta non ci resta che proseguire, incrociando le dita. Sento che inoltrarsi in questa parete è un po’ come entrare di nascosto nella dispensa della nonna per rubare la marmellata. “Allora speriamo di non essere scoperti”, penso sorridendo a me stesso. Il primo tiro, molto piacevole e delicato da proteggere, è su ghiaccio sottilissimo – non c’e verso di piazzare neppure le viti cortissime. Per fortuna, chiodi, nuts e friends non ci mancano.
Poi la goulotte si allarga in una conchetta nevosa e, finalmente, ecco comparire una vaga ed inquietante goulotte, che s’insinua incerta fra gli strapiombi del camino. Ma allora dentro il “mostro” una strada, per quanto complessa, c’è! A stento tratteniamo esclamazioni di sorpresa e gioia, anche se sappiamo che non si concederà facilmente. Un altro tratto tiro di goulotte precede due lunghezze letteralmente spettacolari. Dopo alcuni metri con ghiaccio che ci consente addirittura di piazzare una vite media, ecco uno dei tratti-chiave: prima di cedere, costringe Michel e il sottoscritto a togliersi gli zaini, che recupereremo una volta in sosta. L’avanzata nell’angusta goulotte e’ spesso sbarrata da enormi “bouchons” di neve, che richiedono un logorante lavoro di pulitura.
A questi si alternano tratti di dry che ci impegnano a fondo, visto che, tra l’altro, siamo poco sotto i 4000m, carichi del materiale da bivacco e già con parecchie centinaia di metri sulle spalle. Il tutto, tenuto conto della roccia poco chiodabile ai lati e pessima sul fondo del diedro-camino (di alcune scariche faranno le spese un casco, un paio di occhiali e un chiodo di sosta), ci impegna non poco. Ma il contesto e l’arrampicata sono esaltanti!! Di fronte alle stupende lunghezze che la via continua ad offrirci, la gioia inquieta dei momenti più intensi permea ogni nostro movimento.
A poca distanza dalla brèche della III Torre di Tronchey, la goulotte termina e si trasforma in una sorta di diedro roccioso aperto, intasato da enormi strutture nevose. Verso le 12:30 iniziamo le doppie, che attrezziamo (a volte in modo spartano) fino al ghiacciaio di Pra Sec, dove arriviamo alle 18:30 circa. Una sosta, poi ancora giù, fino alla Val Ferret e alla pizza che divoriamo a La Palud.
Perché, mi chiedo, questa salita è riuscita proprio a noi? Forse perché l’abbiamo affrontata con ingenuità. Non quella di alpinisti sprovveduti che s’imbarcano in qualcosa al di sopra dei propri limiti, ma quella di bambini entusiasti, curiosi ed ansiosi di scoprire. Salire quella goulotte nascosta mi ha fatto sentire un po’ come un Robin Hood contemporaneo che, pensando di rubare in un supermercato, si è ritrovato nel caveau di una banca e vi ha fatto man bassa. Prima ancora dell’aspetto estetico e tecnico dei tiri, questa parete ci ha fatto provare un attonito stupore, che è subentrato alla repulsione iniziale. Chi sa stupirsi, mi sono sempre detto, è una persona incredibilmente viva.
Credo che l’andare in montagna significhi, fra le altre cose, intraprendere una personale ricerca del sublime. Per alcuni, il sublime ha l’aspetto di una cresta innevata che si perde all’orizzonte, per altri prende la forma di una perfetta parete calcarea, per altri ancora è l’inseguirsi delle tonalità nel cielo del tramonto. Per me, la goulotte finale di Plein Sud, avara di ghiaccio e diabolicamente incassata, che sembra ingoiare come un buco nero tutto quanto ha intorno, è un aspetto del sublime.
Una scalata totalizzante, durante la quale non si desidera essere altrove. Ci siamo sentiti nel posto giusto al momento giusto. Nei meandri di quella struttura che segna la parete come una ferita sempre aperta, infernale e angelico s’incontrano e si fondono, creando un magico terreno di gioco per gli alpinisti.
Marcello Sanguineti ringrazia TrangoWorld e Grivel
Materiale utile:
1 serie di friends (anche misure piccole) fino al Camalot #2
nuts
viti da ghiaccio: 5 medie, 3 corte, 2 cortissime
chiodi da roccia (lost arrows, universali e, soprattutto, lame)
Breve descrizione
1. 450 m goulottes della ”Direttissima” – “Gianni Comino Memorial Route” (o "Phantom Direct", Grassi/Luzi/Rossi 1985)
2. Couloir fino al gran camino 250m
3. Goulotte di ghiaccio e dry nel camino 200m