25 Ago Monte Disgrazia
Monografia alpinistica del Monte Disgrazia, 3678m – montagna tra le più attraenti delle Alpi Centrali – di cui ricorre nel 2012 il 150esimo anniversario della prima ascensione realizzata dai britannici Edward Shirley Kennedy, Leslie Stephen, con la guida svizzera Melchior Anderegg e il collaboratore Thomas Cox, il 23 agosto 1862.
di Mario Sertori
Se potesse difendere il suo buon nome originario, che si narra fosse banalmente Pizzo Bello, il Monte Disgrazia farebbe ricorso alle più alte corti di giustizia semiologica e certo, se gli capitasse tra i ghiacci screpolati il cervellone responsabile di questo misfatto, saprebbe rendergli il favore. Ma ormai il delitto è perpetrato e i suoi dati anagrafici sono falsati dal triste appellativo, senza che ne sia seguita altrettanto funesta fama. A poco gli è servito sapere che professoroni e studiosi si sono accapigliati per stabilire se potesse esser vero che Monte dei Quai (Quai-ni dal nome di una famiglia di Traona proprietaria degli alpeggi di Predarossa), per interpretazione libera dei cartografi fosse diventato Guai, e da qui Monte dei Guai, quindi più semplicemente della Disgrazia. Altri, seguaci del filone ecosostenibile, credono si tratti della contaminazione della parola dialettale Desgiaccia e cioè, “che si scioglie”, perché già ai tempi venne notato come fenomeno assai rilevante con frequenti crolli e frane specie in Val Sissone.
Quale che sia l’origine, ormai quel nome sinistro gli rimane stampato sulla carta d’identità, ma la montagna è di carattere davvero speciale: come Monviso, Grand Combin e Cervino, non deve contendersi gli spazi con altre vette o stare a braccetto di ingombranti vicini che magari lo sovrastino in altezza. Troneggia solitario come un’ascia conficcata al contrario nella corteccia della terra e brilla di luce particolare quando il sole lo sfiora con i suoi raggi. Tra le cime delle Alpi Centrali è di gran lunga una delle più attraenti e ricche di storia e di storie. Completamente in territorio italiano, è in posizione avanzata rispetto alla catena principale delle Alpi e fa capo a due vallate: Val Masino e Valmalenco.
Da qualunque parte lo si osservi, ha un aspetto assai attraente e vario. Il suo colorito vivace è dovuto alla roccia infuocata che a stento i ghiacci riescono a domare: è il coriaceo serpentino che emerge con fierezza e costituisce l’ossatura di gran parte dei monti di Valmalenco. Il Disgrazia segna il confine tra i graniti del Màsino e le serpentiniti del bacino del Mallero. E’ curioso che proprio sulle sue pendici abbiano combattuto le due grandi matrici rocciose determinandone l‘assetto geologico: sulla parete settentrionale si possono infatti scorgere le grigie lastre granitiche che formano il Monte Pioda, mentre poco più a sud affiora il rosso vivace del serpentino.
Prima salita
Alpinisticamente il Disgrazia fu preso in considerazione relativamente tardi rispetto alle altre montagne della zona, malgrado sia ben visibile dalla media Valtellina e domini l’asse occidentale della Valmalenco. Fu solo infatti nel 1862 che gli inglesi, allora tra i più attivi “cacciatori” di cime delle Alpi, riuscirono a raggiungerne la vetta. Ci provarono dalla Val Sissone (Valmalenco), peregrinando tra lingue ghiacciate e ripidi scivoli nevosi, costole rocciose e nodi di seracchi, misero piede oltre il Passo di Mello e proseguirono per cresta fino sulla cima del Monte Pioda, battezzato Punta della Speranza.
La stanchezza e l’ora tarda li fece desistere dal continuare, ma l’esplorazione aveva permesso di svelare molte incognite che sarebbero state fondamentali per la gita risolutiva. Qualche giorno più tardi, il 24 agosto, sempre gli stessi notabili britannici E.S. Kennedy, L.Stephen, con la guida M. Anderegg [1] e il collaboratore T. Cox, aggiustarono il tiro, dopo un avventuroso viaggio in carrozza da Chiareggio ai Bagni di Masino, salirono direttamente dalla valle di Mello, fino alla Sella di Pioda passando dal Passo Cecilia e da quella depressione attaccarono la cresta ovest nord ovest, mettendo finalmente piede sul punto culminante. Avevano inaugurato la rotta che sarà la più seguita per vetta del grande bastione.
Un percorso magnifico sospeso tra i bonari pendii nevosi del versante occidentale e i severi sdruccioli ghiacciati che guardano Chiareggio. Il tentativo e il conseguente successo sono stati raccontati in modo avvincente e ricco di humour da Kennedy su The Alpine Journal nel 1863, ora (2007) tradotto e dato alle stampe dall’editore Tararà di Verbania con il titolo di Il Picco Glorioso. Degna di nota è la considerazione di Kennedy a proposito dei rischi corsi viaggiando in carrozza con degli improvvisati cocchieri nel tragitto da S. Martino Valmasino ad Ardenno: “…Oh, quanto maggiori sono i pericoli che insidiano gli infelici mortali che viaggiano in carrozza, rispetto a quelli in cui incorrono coloro che fanno una seria escursione in montagna.”
Prima ripetizione italiana e nuova via inglese, la prima dalla Val Ventina
Devono passare ben 12 anni prima che una comitiva di italiani (erano dei valtellinesi, che Aldo Bonacossa definisce: “una grossa comitiva più entusiasta che preparata”) raggiunga il 7 agosto del 1874 sulla cima del Disgrazia. Buzzi, Foianini, Orsatti, Rossi e Schenatti, partiti il 5 agosto da Sondrio, pernottano all’Alpe Airale e il giorno successivo compiono una perlustrazione sul ghiacciaio di Cassandra per cercare un percorso alla vetta. Rimangono indecisi fino al mattino seguente sulla strada da prendere ed è solo per il consiglio di tale Flematti di Spriana, un abile cacciatore di camosci soprannominato Il Gatt per la sua capacità felina di superare ogni ostacolo, che il gruppo sceglie la via dei primi salitori.
Il Gatt, che rappresenta l’archetipo della guida alpina, si offre di accompagnarli e gli avventurosi valtellinesi sono ben lieti che un capocordata si occupi di ricavare dei gradini nel ghiaccio e faccia un minimo di sicurezza ai componenti del team. Il 29 agosto dello stesso anno sono ancora gli inglesi a produrre novità: F. T. Pratt Barlow, S. F. Still, P. Taugwald con J.Anderegg (cugino di Melchior che allora aveva già salito nel 1865 lo Sperone della Brenva e nel 1876 firmerà il difficile couloir Cordier all’Aiguille Verte, tutte ascensioni di valore assoluto nel gruppo del Monte Bianco), risalgono dal bacino di Ventina lo spigolo nord est e infine proseguono sulla cresta fino al punto più alto della montagna.
Antonio Baroni apre la prima via italiana
Nel 1878 invece, grazie alla forte guida bergamasca Antonio Baroni di Sussia, viene aperta una nuova via su un largo crestone roccioso del versante sud-ovest, cresta che prenderà il nome del suo salitore, che la percorse accompagnando il nobile Francesco Lurani Cernuschi, grande esploratore di queste zone selvagge delle Alpi. E’ proprio grazie a quest’ultimo che viene edificato nel 1881 un piccolo ricovero ai margini della morena del ghiacciaio di Predarossa per facilitare le ascensioni alla montagna, che allora avvenivano dalla valle Airale. Ma leggiamo il suo pensiero riportato su Le Montagne di Val Masino Appunti topografici e alpinistici – Milano 1883
“…La Sezione di Sondrio, collocando la sua capanna di rifugio sul Passo di Corna Rossa, commise, a mio parere, un errore ben grave. Pernottando a quel rifugio si comincia l’ascensione alla Disgrazia con una discesa di mezz’ora per raggiungere il ghiacciaio della valle di Preda Rossa. Se la capanna fosse stata costruita presso il principio di questo ghiacciaio, la strada del giorno precedente l’ascensione non sarebbe stata allungata che di mezz’ora pei turiste arrivati da Sondrio per Val Torreggio, e si sarebbe ottenuto il vantaggio di rendere la capanna utile anche agli alpinisti provenienti da Morbegno per la Valle di Sasso Bisolo mentre per questi ora è inservibile! Fu per ovviare a questo inconveniente, che lo scorso anno feci costruire dagli Scetti di Cataeggio un modestissimo ricovero, due ore più innanzi dell’Alpe di Preda Rossa, dove prima si era costretti a passare la notte.”
Con la nuova capanna, chiamata Cecilia in onore della consorte del Cernuschi, si ha un incremento considerevole delle ascensioni al Disgrazia, allora ancora avvolto in un alone di inaccessibilità e mistero. La sua posizione strategica desta l’interesse anche del Genio Militare che nel 1883 dà l’incarico alle guide alpine (le prime della Valmalenco) Giacomo Scilironi (detto Fuin – faina) Michele ed Enrico Schenatti, di costruire un ricovero per osservazioni scientifiche a breve distanza dalla vetta. Il rifugio Maria edificato con grandi sacrifici dai tenaci malenchi, non resistette che per poche stagioni, tanto che già nel 1894 non rimanevano che i muri perimetrali.
Ancora gli inglesi per la prima volta senza guida
Ancora inglesi per il primo itinerario completamente sul versante settentrionale:è l’estate del 1882 quando i fratelli Charles e Lawrence Pilkington gentiluomini inglesi fautori di un alpinismo che non si avvale dell’aiuto di guide, con l’amico Eustace Hulton, dopo aver aperto un nuovo itinerario sul Piz Roseg, approdano all’Alpe Ventina. Il terzetto ripercorre le tracce dei connazionali F.T. Pratt Barlow e c. del 1874 per poi mettere piede sul bacino superiore del ghiacciaio Ventina; puntano alla cresta est-nord-est e la raggiungono nei pressi della caratteristica scimitarra di neve. E’ bellissima ed esteticamente attraente ma, percorse alcune decine di metri, il duro lavoro di intaglio dei gradini e la pendenza accentuata li costringe a ripiegare sulle rocce del fianco orientale, che offrono loro validi appigli: per la mezzaluna non è ancora il momento. Guadagneranno comunque la cima con una grande nuova via dando inizio, nella regione, all’epopea dell’alpinismo senza guida.
La via del canalone Schenatti
Nell’agosto del 1888, Enrico Schenatti con Gian Battista Vittadini trova un’evidente variante alla via normale che percorre il lenzuolo di neve compreso tra la cresta ovest-nord-ovest e lo sperone di rocce della via Baroni, ed esce poco a valle della cima. Il Canalone Schenatti, con buone condizioni è una veloce alternativa alla via normale e sarà in seguito ripreso di frequente, soprattutto nella stagione invernale/primaverile. La forte guida della Valmalenco svolgerà un’intensa attività tra Bernina e Disgrazia: su quest’ultimo festeggerà la 100esima ascensione nel 1906 accompagnando in vetta la figlia Alice Pia.
Il tocco di Christian Klucker e Bortolo Sertori
Giugno 1897 la guida engadinese Christian Klucker[2], uno dei più formidabili alpinisti della sua epoca, disegna una linea audace sul versante occidentale del Disgrazia. Al suo seguito l’irascibile (e inseparabile) cliente AntonVon Rydzewsky, Angelo Dandrea e il collega cortinese Mansueto Barbaria. La via di Klucker sarà ripresa per la prima volta nel 1902 da un’altra guida illustre dell’epoca: Bortolo Sertori di Cataeggio (Valmasino), il primo salitore dell’omonima Punta sul fianco orientale del Badile. Con lui l’attivo sondriese Antonio Facetti e A. Villa; nel corso di questa ascensione tracceranno una importante variante nella parte bassa dell’itinerario.
Nel 1899 Tinsenlhor con una guida tirolese di cui è ignoto il nome (le fonti storiche non sono molto precise), e nel 1900 ancora il nostro Enrico Schenatti con Carlo Gnecchi, scoprono un inedito modo di raggiungere la vetta dalla Val Ventina passando dalla comba glaciale alla base della cresta est-nord-est e percorrendo infine la parete rocciosa che si innalza nel punto dove la questa si congiunge con la struttura principale.
Bortolo Sertori con l’intraprendente alpinista milanese G.Gugelloni, ritorna sulla montagna che domina la sua valle per inaugurare il primo percorso del lunghissimo e non particolarmente invitante crestone che dal Passo di Corna Rossa sale alla cima, intersecando nella parte finale l’altro crinale, quello che inizia al Passo Cassandra.
Fino ai primi del ‘900, sul versante settentrionale nessuno ha ancora osato mettere piede: è un ammasso caotico di torri ghiacciate, un labirinto di voragini scure sovrastate da vertiginosi baratri di neve indurita dal gelo e spazzate dalle scariche di sassi. Un mondo severo, ripido e ostile, una bella sfida per gli alpinisti, che possono contare su attrezzature da ghiaccio rudimentali. La tecnica prevede lo scavo di un’interminabile serie di piccoli gradini sul pendio e la progressione è assai faticosa e precaria…Sono ancora una volta i cittadini di sua maestà britannica a fare il primo passo.
Gli scozzesi salgono la prima via del versante nord
Nell’estate del 1910 gli scozzesi W.N. Ling e H. Raeburn scelgono la linea più accessibile della muraglia ombrosa, uno scivolo nevoso elegante che conduce direttamente sulla cresta ovest-nord-ovest. Per raggiungerne la base e per ripartire i pesi dei viveri, in quanto intendono in un paio di giorni arrivare fino al Maloja, ingaggiano la guida Casimiro Albareda. Salgono dalla Val Sissone e Albareda pensa vogliano varcare il Passo di Mello ma quando capisce, più dai gesti che dall’incomprensibile idioma, il vero obiettivo, esclama: “impossibile!” e scende a valle. Dopo un bivacco in una zona di mughi, all’1.10 alla luce della lanterna si incamminano passando sotto il Pizzo Ventina e cercando il percorso migliore tra un groviglio di seracchi monumentali e crepacci nascosti: del resto sono conterranei di Ernest Shackleton l’esploratore dei ghiacci antartici…
Raeburn trova il tempo di estrarre il clinometro che si è portato nello zaino e misurare la pendenza: 62° per un breve tratto e una media di 52°! In poco più di 8 ore toccano la cresta ovest-nord-ovest e per questa il punto più alto della montagna. E’ la via degli inglesi o lo spigolo degli inglesi, così passerà alla storia la nuova traccia. Ormai anche questo angolo che domina i prati di Pian del Lupo e la secolare strada del Passo del Muretto, ritenuto fino ad ora inaccessibile, non è più un’ incognita.
Harold Raeburn compirà numerose ascensioni nel Caucaso e in Himalaya, e sarà capo spedizione di George Mallory nel 1921 all’Everest. Cinque anni dopo l’apertura (1915) saranno due italiani i primi a ripetere le gesta degli inglesi: Angelo Calegari e Gaetano Scotti, alpinisti tra i più attivi in quel periodo. Nel 1911 i due, con Romano Calegari fratello di Angelo, sono stati i primi a salire lo spigolo nord del Badile, ascensione che non è stata però “omologata” perché avvenuta in due tempi, cioè i primi due terzi dal basso, e l’ultima parte raggiungendo il punto del precedente ritiro, in calata dalla cima.
La Corda Molla e le grandi creste
Aldo Bonacossa e P.I. Torti, nel luglio del 1911 percorrono per primi la cresta sud-est partendo dal Passo di Cassandra. Questa bella scalata sarà completata con la traversata fino al Passo di Mello nel 1930 per mano di Alfredo Corti e Antonio Lucchetti Albertini. Un’altra attraente cresta delimita a meridione il bacino della Val Sissone e lo separa da quello della Val Ventina: è la est-nord-est, toccata brevemente dalla cordata dei fratelli Pilkington nel corso dell’apertura della loro via nel 1882, ma subito abbandonata per l’alta difficoltà, che ha inizio al colle tra il Pizzo Ventina e la Punta Kennedy. Il crinale prosegue pianeggiante su rocce monolitiche rosso fuoco fino all’esile falce di neve che, come una corda lasciata lasca, regala al Disgrazia un nome finalmente simpatico: Corda Molla, termine perfetto che dobbiamo alla brillante fantasia di Alfredo Corti.
Quando la “corda” termina, contro le rocce che sostengono la cima, un astuto percorso scoperto ancora una volta da un’audace guida della Valmalenco, Ignazio Dell’Andrino, con B. De Ferrari, permette di salire senza troppe difficoltà fino in vetta. Questo itinerario inaugurato nel 1914 diventerà, a ragione, uno dei più ripetuti sulla montagna. Alfredo Corti con il fratello Plinio e Augusto Bonola ne farà la prima ripetizione nell’estate del 1928 e pubblicherà, cosa che non fecero gli apritori, una dettagliata descrizione della via. Del resto quella linea Corti l’aveva studiata nei minimi particolari e ne avrebbe sicuramente portato a termine la prima ascensione se:
“…nel 1914 la guida Ignazio Dell’Andrino che dagli amicali parlari conosceva tutti i miei propositi e i miei studi, sollecitava l’amor proprio e la liberalità di un fortunato Sucaino (della sezione universitaria del Cai) della tendopoli del Pian del Lupo (B. De Ferrari), e saliva il Disgrazia per quella cresta settentrionale che più volte aveva sentito da me descrivere e illustrare. Il Dell’Andrino, migliore di tanti altri alpinisti, parlò con me raramente di quella salita, e sempre come di un’azione che gli rimordeva e della quale nessun vanto poteva sentire: non ne ebbi mai neppure le notizie di dettaglio…”[3]
Il capolavoro di Giacomo Schenatti
Passano quasi di 20 anni prima che un team di illustri alpinisti e guide di polso provi a risolvere in modo diretto il problema posto dalla parete nord. Lo Spigolo degli inglesi infatti è molto laterale rispetto alla cima e fa luce su un settore periferico rispetto al cuore della parete. E’ la mattina del 5 agosto del 1933 quando Luigi Bombardieri, figura di primo piano dell’alpinismo valtellinese con la sua guida di fiducia, il malenco Cesare Folatti, si trova ad attaccare la nord con Alfredo Corti[4] e Peppino Mitta, due grandi alpinisti con due eccezionali guide.
Una crepaccia terminale con la bocca molto aperta li costringe ad un largo giro dalle parti dell’attacco dello Spigolo degli Inglesi, poi – una volta che l’hanno superata – obliquano verso il grande sdrucciolo della parete nord. Ne divorano un gran pezzo, ma quando giungono davanti la strozzatura dove il pendio si impenna paurosamente, sembrano esitare, deviano a destra su un muro roccioso meno repulsivo ed escono sulla cresta ovest-nord-ovest, poco a monte della via di Ling e Raeburn. E’ un passo avanti, non c’è dubbio, ma non è ancora la perfezione della linea diretta.
Sarà ancora una guida della Valmalenco, Giacomo Schenatti, con Antonio Lucchetti Albertini, un anno dopo, a portare a compimento quello che fino ad ora era stato solo pensato. Schenatti anticipa a luglio la data dell’ascensione, forse per non farsela soffiare (ci sono già stati 3 tentativi) o forse perché troverà la neve meno dura, ma dovrà fare i conti anche con le rocce più sporche di neve o peggio, ghiacciate sotto la cima. La guida di Chiesa Valmalenco ripercorre le tracce dei suoi predecessori e, dove il pendio si raddrizza, non demorde, con pazienza continua a creare a colpi di piccozza una minuscola e infinita scala nel ghiaccio, che permetterà a lui ed al cliente di avanzare. E’ una lotta titanica che non permette errori o tentennamenti: Giacomo che si è ingaggiato per risolverla, lo sa bene, ma il peso di questa responsabilità è tutto sulle sue spalle. Intanto dai Prati di Pian del Lupo, il Professor Corti tiene sotto osservazione la cordata con il cannocchiale, la segue passo dopo passo come ne fosse un terzo componente.
Ci sono volute 13 ore e mezza per questa notevole impresa, e fa riflettere il fatto che non abbiano piantato nemmeno un chiodo durante la progressione. Un errore che da anni si trascina nella letteratura alpinistica è la convinzione che Schenatti e Albertini siano usciti dalla parete N non dal colle sulla destra, ma salendo direttamente l’impressionante bastionata rocciosa sotto la cima. Secondo Jacopo Merizzi e Bianco Lenatti, ciò non corrisponde al vero perché su quei roccioni vi sono problemi alpinistici che all’epoca sarebbero stati impossibili, specie dopo 8 ore di lotta coi ghiacci. Bianco, a prova di ciò, ricorda un consiglio che anni fa gli aveva dato lo stesso Giacomo Schenatti: "Se scendi con gli sci esattamente sulla mia linea di salita, io credo tu possa farcela a vincere quella parete." E ciò, ovviamente, esclude passaggi su rocce verticali!
Giacomo Schenatti (Chiesa Valmalenco 1903 – 1989) non farà nel corso della sua carriera altri grandi exploit, ma sarà ricordato da tutti gli alpinisti per quel suo favoloso giorno da leone. Il suo cliente gli sarà riconoscente per avergli dato lustro e lo ricompenserà con 300 lire di allora, che tutto sommato erano una bella cifra. Giacomo fece subito un investimento, non in buoni del tesoro ma in una pregiata mucca da latte e gli rimase ancora abbastanza per passare un inverno in tranquillità. E’ curioso il fatto che in una corrispondenza con il professor Corti, E.L.Strutt, presidente dell’Alpine Club ed editor dell’Alpine Journal, a commento della bella impresa di Schenatti e Albertini, faceva rilevare come il problema della parete nord fosse già stato risolto dai suoi connazionali nel 1910 e disapprovava le tendenze, a suo dire estreme, dell’alpinismo continentale.
Prime ripetizioni, varianti e macabre discese
Il 1941 fa registrare la prima ripetizione della nord da parte di Carlo Negri e Fausto Rovelli; i due non seguono però le orme di Schenatti se non nella parte alta, quella sopra il seracco. Attaccano la crepaccia terminale sulla verticale del grande apicco ghiacciato, quindi scalano la costola rocciosa che come un muro di contenimento lo delimita sulla destra, piantano alcuni chiodi e superano difficoltà elevate. La discesa dalla cima avviene nella tormenta tra folate di vento gelido e nebbie fittissime. Credono di essere sulla via Baroni, ma il terreno più impegnativo li costringe anche ad una doppia. Un’atmosfera macabra li avvolge: approdano ad una grotta dove si imbattono nei resti mortali di una cordata scomparsa sette anni prima.
Un avvincente e drammatico racconto verrà pubblicato a firma di Carlo Negri sul bollettino del Cai n°78 del 1946. Negli anni successivi saranno aperte diverse varianti, di cui forse la più significativa è quella dell’agosto 1960 di Carlo Mauri e Dino Piazza con R. Aldè e B. Ferrario che aggira e supera a sinistra il voluminoso seracco che incombe sulla nord. Sempre nel 1960, la parete viene percorsa per la prima volta nella stagione invernale; protagonisti di questo exploit sono alcuni fortissimi scalatori lombardi: Vasco Taldo (qualche mese prima ha aperto con Nusdeo la mitica via sul Picco Luigi Amedeo in Valmasino) e Romano Merendi con E. Lazzarini e E.Colonaci. Nel 1940 è ancora Alfredo Corti, questa volta con il figlio Nello e Peppo Perego, a scoprire una nuova possibilità sulla parete nord della vetta centrale.
I tre pernottano al bivacco Taveggia, posto nel 1929 su iniziativa del CAAI a 2845 metri, poco sotto il colletto dove ha inizio la cresta est della Punta Kennedy. Trovano una linea su roccia solida e superano la muraglia che domina il bacino superiore della Ventina, poi un ultimo tratto sulla cresta sud est li porterà ancora una volta sul vertice del gran monte. Quattro anni dopo (luglio 1944) è un altro appassionato del Disgrazia, l’attivissimo alpinista milanese Nando Grandori ad aprire con B. Perotti un itinerario roccioso sempre sulla bastionata nord est, ma questa volta della vetta orientale.
Solitari e insubordinati
1977: Giovanni Pirana è un giovane di Sondrio che vuole sfatare il nomignolo sassista cioè scalatore di sassi, con il quale i severi dignitari del CAI di Sondrio hanno definito il gruppetto di ragazzi di cui fa parte, i primi ad arrampicare in Val di Mello. Giovanni in poco tempo infila una serie di solitarie a itinerari delle Alpi Centrali di notevole impegno e difficoltà, quelle dove anche i migliori alpinisti in cordata devono battagliare per riuscire a domarli. A 17 anni Pirana supera la nord del Disgrazia in sole sei ore e trenta dal bivacco Oggioni, armato di una piccozza sola, ma anche di tanta grinta e coraggio. Nell’inverno del 1992 l’avventura solitaria sulla stessa via sarà ripresa da Fabio Salini, alpinista di spessore e Guida alpina di Morbegno.
Nel settembre del 1979 si tiene in Val Malenco il modulo di ghiaccio e misto del corso di formazione per guide alpine, allora su base nazionale. Il Disgrazia ovviamente si presta ottimamente per mettere alla prova gli allievi, è la lavagna dove ognuno deve saper tracciare un suo schema logico e sicuro. Sono prese di mira le vie più impegnative, del resto i professionisti devono dimostrasi all’altezza su ogni tipo di terreno. Oltre le ripetizioni spunta una nuova linea, per la verità molto evidente, scovata da due cordate un po’ speciali sulla nord-est, tra la cima orientale e centrale. A capo di questa ciurma è Luigi Mario detto Gigi, alpinista romano di alto livello degli anni ’60, e direttore del corso. Tra i puledri recalcitranti c’è Renato Casarotto[5] uno degli scalatori italiani che ha segnato, in pochi anni, l’alpinismo internazionale con realizzazioni di alta difficoltà e eccezionale impegno. Sarà proprio per il comportamento anarchico del vicentino, se la via verrà chiamata Couloir dell’insubordinato: Renato infatti, sentito profumo di ghiaccio e sentendosi perfettamente nel suo ambiente, partirà a razzo slegato sul ripido canale costringendo Gigi Mario, pur di larghe vedute, a riportare nei ranghi lo scapestrato. Nel gruppetto anche il celebre Alessandro Gogna e il meno famoso ma fortissimo abruzzese Giampiero Di Federico.
Grandi vie in velocità per i Ragni di lecco
Un notevole colpo lo mettono a segno nel gennaio del 1983 i Ragni di Lecco Norverto Riva e Marco Della Santa. Dopo due giorni di inattività passati al riparo del bivacco Oggioni a causa della meteo avversa, i due non vedono l’ora di adottare la neonata tecnica della piolet –traction[6] anche sulla grande parete “di casa” e si dirigono verso un ripidissimo colatoio con alcune cascate di ghiaccio quasi verticali, a destra della Via degli Inglesi. In poche ore superano i seicento metri di parete e inventano il Supercouloir, nome che richiama uno splendido itinerario sul Mont Blanc du Tacul, via considerata una pietra miliare della nuova progressione glaciale, che i due Ragni hanno già ripetuto.
Ritornano al bivacco passando dalla via degli Inglesi e il giorno successivo, come defaticamento, si ingaggiano sul enorme seracco che incombe sulla nord; lo superano in modo diretto con alcune lunghezze molto sostenute, dando prova di grande abilità tecnica e anche di audacia, sospesi come formiche sulla prua di un gigantesco vascello. A dimostrazione della loro confidenza con questo luogo alto, scendono dalla Corda Molla, compiendo così in due soli giorni uno dei più straordinari viaggi sulla parete settentrionale del Disgrazia. E’del 1990 invece una linea inedita di misto sul versante di Predarossa che percorre alcuni colatoi poco accennati con piccole cascate di ghiaccio; autori sono tre esponenti di spicco della sezione valtellinese del Cai: Luigi Pasini, Angelo Libera e Celio Giatti.
Solo Roccia
Nel 1988 sul Disgrazia, o meglio, sulla parete ovest dell’anticima orientale, viene aperto per mano dei milanesi Lorenzo Meciani e Dario Bambusi Sulla strada della follia, un itinerario di pura roccia, una linea finalmente libera da collusioni glaciali. Cinque anni dopo una cordata di sondriesi, Celio Giatti, Mario Vannuccini e Dante Barlascini, esplora un altro settore di questa articolata scogliera sul pilastro più a monte e disegna Californian climber. Infine è dell’agosto del 2012 la Via del 149° aperta da Michele Comi, Luca Maspes, Giuseppe Miotti e Stefano Mogavero sul pilastro sud della Cima orientale, che nella parte alta si ricollega all’itinerario di Bambusi e Meciani.
Link via del 149°esimo al disgrazia
Il Disgrazia di Balatti
Un capitolo speciale della storia della montagna porta la firma di Benigno Balatti, Accademico del Cai di Mandello del Lario classe 1954 che, raccolto il testimone degli esploratori del passato, sulla montagna ha sviluppato il suo alpinismo di ricerca. E’ del giugno 1985 la sua prima via nuova sulla parete nord est, seguita a ruota da una seconda a pochi giorni di distanza. Da allora Balatti, spesso in compagnia della moglie Giovanna Cavalli traccia sulla montagna ben 20 itinerari, tutti di alto contenuto tecnico, percorsi dove spesso il ghiaccio sottile si insinua tra le rocce e richiede una scalata delicata e ricca di fantasia. Qualità che certo non manca allo scalatore di Mandello che scopre tra le pieghe del grande scoglio sempre nuove piste, che poi segue come un segugio innamorato del suo selvatico. Anche nel 2009 ha trovato pane per i suoi denti dalle parti del gran seracco posto sotto la cima orientale ed ha già affermato che non sarà l’ultima…
Sci vertiginoso
Non solo percorsi verso l’alto, sul gran bastione ci sono da segnalare anche discese con gli sci su pendii vertiginosi. Grande interprete di questa selettiva disciplina, che non ammette tentennamenti e tantomeno errori, è stato Giancarlo Lenatti, malenco doc, discendente di una stirpe di guide valorose e guida lui stesso. Il “Bianco” – come è conosciuto nell’ambiente – dopo aver setacciato come un cercatore d’oro ogni anfratto del Bernina alla volta di canali e pareti da domare con le assi ai piedi, scopre le pepite più scintillanti sulla montagna di casa: nel 1979 compie la prima discesa con gli sci della via degli Inglesi, poi alza ancora il tiro (o meglio l’inclinazione) nel 1986 con la linea mozzafiato della nord: un capolavoro da cardiopalma mai eguagliato. Una bella traccia la lasciano anche Walter Togno, Gianni Rovedatti e alcuni loro amici scendendo il canale sinuoso che dall’anticima orientale termina sul ghiacciaio di Cassandra in Val Torreggio.
Monte Disgrazia Diretta Sud – estate 2011 – racconto di Floriano Martinaglia
[1]Melchior Anderegg nato a Meiringen – Canton Berna (1828 – 1914) una delle più grandi guide di tutti i tempi: primo salitore dello Sperone della Brenva e della Punta Walker delle Grandes Jorasses, nel gruppo del Monte Bianco.
[2] Sulle avventure di Christian Klucker (1853–1928), leggendaria guida dell’Engadina è uscita presso Tararà edizioni di Verbania un’ autobiografia tradotta da Giovanni Rossi dal titolo: Memorie di una Guida Alpina
[3] Racconto di Alfredo Corti in Rivista mensile del Cai novembre/dicembre 1929 – tratto da Il Picco Glorioso – Ascensioni al Monte Disgrazia di membri dell’Alpine Club ed. Tararà Verbania 2007
[4] 1880 – 1973 Alfredo Corti, membro del Club Alpino Accademico Italiano, professore universitario e naturalista, è una delle figure più importanti espresse dall’alpinismo valtellinese del ‘900. Fu un instancabile esploratore dei gruppi del Bernina e del Disgrazia. Univa alla passione per la scoperta e al piacere dell’azione, una raffinata intelligenza e notevoli capacità divulgative che lo portarono a pubblicare la Guida sul Bernina, oltre a molti articoli monografici.
[5] Renato Casarotto (1948 1986) celebre per le grandiose realizzazioni in solitaria tra cui Nord dello Huascaràn, pilastro Nord del Fitz Roy, McKinley per la cresta sud-est; prima invernale solitaria alla Gervasutti sulla est delle Grand Jorasses. Ma la più impressionante è la cosiddetta Trilogia invernale del Freney.: senza contatti e in piena autonomiasale in successione la W dell’Aiguille Noire (Ratti-Vitali), il Pic Guglielmina (Gervasutti-Boccalatte) e il Pilone centrale (Whillans-Bonington) rimanendo 2 settimane imprigionato in uno dei luoghi più inospitali delle Alpi, nel gelo dell’inverno e uscendo nella bufera sulla cima più alta d’Europa.
[6] Piolet – traction è una nuova tecnica di arrampicata su ghiaccio messa a punto dagli scozzesi alla fine degli anni ‘60 che ha rivoluzionato la scalata glaciale, prevede l’utilizzo di due corte ed aggressive piccozze e permette il superamento di pareti verticali.
Mario Sertori