
21 Set Barbara Babsi Zangerl: in viaggio dal boulder alle grandi pareti
Di ritorno dal Pakistan, Barbara ci racconta della sua spedizione e degli eccezionali risultati ottenuti in questi ultimi tempi, dalle vie alle multipitch estreme!
Parlare del valore e del livello di Barbara Zangerl è come scoprire l’acqua calda!
Nell’ambito dell’arrampicata a 360° Barbara è senza dubbio una delle leggende dell’arrampicata mondiale degli ultimi anni. Una climber che ha raggiunto l’eccellenza praticamente in tutte le discipline verticali e che, sempre in coppia all’altrettanto leggendario Jacopo Larcher, dimostra di anno in anno come non ci siano limiti ai traguardi che i due possono raggiungere.
Barbara e Jacopo sono appena tornati dalla loro spedizione in Pakistan, ma proprio mentre erano in viaggio, abbiamo potuto rivedere alcuni dei notevolissimi exploit che la Zangerl ha realizzato in questi ultimi mesi. Il 9a di Sprengstoff, l’8B trad di Greenspit e Odyssée sull’Eiger: questi sono le sue tre imprese che sono state presentate nella videoserie Committed di Black Diamond, che nelle scorse settimane abbiamo avuto modo di condividere sulle pagine del nostro sito.
Quindi, sia per parlare del Pakistan che per farci raccontare delle realizzazioni oggetto della serie, abbiamo fatto qualche domanda a Barbara, per entrare ancora più intimamente nella visione verticale di questa grande protagonista dell’arrampicata contemporanea.
Barbara, tu e Jacopo siete appena tornati dal Pakistan. Innanzitutto, ci puoi descrivere la vostra spedizione, i progetti e le aspettative che avevate prima di arrivare là?
Le aspettative erano di avere una grande avventura. Il Pakistan non è un paese in cui molte persone viaggiano. Naturalmente molti ci chiedono perché vogliamo visitare una parte del mondo così “pericolosa”. A causa della situazione politica con i talebani e tutto il terrorismo che si è verificato in passato e, naturalmente, anche a causa del Corona (esseno il Pakistan un paese vicino all’India). Ma ad essere onesti mi sentivo più al sicuro che in altre parti del mondo, soprattutto dove siamo stati, lontano da tutto. Il viaggio per arrivare a destinazione è stata probabilmente la parte più pericolosa a causa dello stile freestyle di come guidano le loro auto. Era abbastanza folle.
È sempre stato un sogno per noi visitare la zona delle Torri del Trango. Visitare il paese e tutto ciò che ne deriva. Ovviamente ci aspettavamo di avere finestre di bel tempo per scalare la Nameless Tower. Il sogno per noi era provare Eternal flame in libera, un grande obiettivo per noi.
Ma alla fine abbiamo avuto condizioni meteorologiche molto difficili. La maggior parte delle volte faceva piuttosto freddo e semplicemente non era possibile scalare all’altitudine di 6000 metri.
Ma comunque valeva un viaggio. Siamo rimasti stupiti dal paesaggio, dalle persone e dall’ospitalità che abbiamo sperimentato.
Quale è stato il feeling nel mettere le mani su una via simbolo come Eternal Flame?
Abbiamo messo le mani su Eternal Flame solo una volta, quando ne abbiamo salito due tiri prima dell’arrivo della successiva grande tempesta. È stato semplicemente fantastico. Non era molto quello che abbiamo ottenuto, ma questo breve momento d’arrampicata ci ha già permesso di iniziare a sognare di tornare l’anno prossimo.
La via è su roccia perfetta. Arrampicata in fessura al suo meglio. 30 tiri e tutti sembrano fantastici. Un vero gioiello di Wolfgang Güllich e Kurt Albert. Abbiamo sicuramente scoperto come sia abbastanza senza fiato arrampicarsi duramente a questa altezza.
Dai tuoi post Instagram, hai rivelato che, anche se non siete riusciti ad arrampicare molto, è stata una bella esperienza. Ci puoi descrivere che cosa ti ha lasciato questa spedizione rispetto alle tue precedenti arrampicate?
È stata la mia prima spedizione in assoluto. E la cosa più bella è che è così lontano da tutto. Una giornata di guida in auto da Skardu, poi due giorni di trekking solo per raggiungere il campo base. Sei davvero in un luogo remoto, circondato da tonnellate di roccia, perfette torri di roccia granitica tutt’intorno a te. È persino difficile decidere da dove iniziare a scalare. Tre pakistani sono venuti con noi. Hanno cucinato al campo base e ci hanno servito cibo delizioso ogni singolo giorno. Siamo andati ad arrampicare con loro al campo base e abbiamo condiviso alcune esperienze di arrampicata, anche se era solo su alcuni semplici monotiri, abbiamo sicuramente avuto un buon tempo e fatto nuove amicizie.
Vedere la cultura e quanto è diverso questo paese rispetto a dove viviamo. Come vivono le persone semplici senza avere molto ed essere comunque felici. Ovviamente avrei voluto vedere più donne e ragazze per le strade e nei luoghi ufficiali, o anche intente a fare sport. Soprattutto nei piccoli villaggi ho avuto la sensazione che fosse severamente vietato alle donne frequentare ristoranti o luoghi in cui le persone (uomini) si incontrano. A Islamabad per esempio la situazione era più aperta, con molte donne in giro anche truccate e senza burka.
Mentre eravate in viaggio abbiamo avuto l’occasione di vedere i tre episodi della serie Committed sul canale Youtube di Black Diamond, che riportavano i recenti successi della tua vasta attività arrampicatoria. Infatti ti abbiamo conosciuto innanzitutto come boulderista. Poi un infortunio alla schiena ti ha portato alla falesia, quindi al trad, alle multipitch e alle big walls. Tutto questo ai livelli più alti! In questa tua eccezionale polivalenza, qual è quindi il significato dell’arrampicata che insegui?
L’arrampicata è per me uno stile di vita. Porta con sé così tanti aspetti diversi, ed è connessa anche al viaggiare. Amo tutto ciò che ne deriva. L’unica cosa che non mi piace è che, se torni da una spedizione è faticoso rimettersi in forma (qui Babsi ha commentato con uno smile, ndr). Almeno abbiamo delle gambe forti. Dopo il mio infortunio alla schiena io ha visto l’arrampicata in una prospettiva più ampia. Volevo cambiare stile e fare cose diverse nell’arrampicata. Quello era una vera spinta motivazionale. Da quel momento in poi non ho più voluto concentrarmi solo su una disciplina.
C’è un qualche climber che ti ha particolarmente ispirato nella tua carriera?
Certo, ce ne sono molti. Ma penso che Lynn Hill, con la prima salita in libera del Nose mi abbia ispirato di più.
I video che ti vedono protagonista in questa serie rappresentano per l’appunto tre salite rappresentative della tua polivalenza. Iniziamo dalla falesia, Sprengstoff, il 9a che hai salito ad aprile nella falesia di Lorunser. Ce lo puoi innanzitutto descrivere?
È una via di pura resistenza su calcare perfetto. Un vecchio progetto aperto di Kammerlander. Jacopo ha fatto la FA lo scorso novembre, e io non riuscivo proprio a fare i singoli movimenti del passaggio chiave. Ho semplicemente pensato che fosse troppo difficile per me. Ma è così vicino a casa che non potevo rinunciare a trovare un modo per risolvere questo boulder chiave. Penso che sia la linea migliore della falesia ed era l’unica che mi mancava. Quindi quella era una motivazione sufficiente per non rinunciarci. Spero che questa falesia rimanga in vita anche in futuro. È sulla proprietà di una cava e sicuramente rischia di essere distrutta. È un luogo storico, dove le persone si arrampicano da molti anni e sicuramente la mia falesia casalinga preferita.
Al di là della difficoltà, questa via è comunque iconica: un progetto ideato 25 anni fa da Beat Kammerlander e di cui è stato proprio Jacopo a realizzare la prima salita a fine 2020. Quindi una via che ti lega a un personaggio leggendario dell’arrampicata austriaca da un lato e al tuo compagno di arrampicata e di vita dall’altro. Che significato ha avuto per te essere la prima a ripetere Sprengstoff e la prima donna a salirlo?
Semplicemente non mi aspettavo di poterlo scalare. Essere la prima donna a ripeterlo non significa molto per me – penso che non molte altre donne l’abbiano provato – ma essere in grado di chiuderlo è stato fantastico. È sicuramente uno dei più grandi e il più difficile che ho fatto in falesia.
Quanto conta per te spingere sull’alta difficoltà in falesia? È un qualcosa che ritieni finalizzato alla preparazione per il trad o le multipitch o invece gli dai un senso proprio?
È il miglior allenamento per l’arrampicata multipitch. E lo adoro perché non devi trasportare così tante cose su per la parete, non è collegato a tutto il lavoro che devi fare su un bigwall per esempio. Non hai bisogno molto equipaggiamento. È semplice e puoi metterti alla prova e superare i tuoi limiti. Ma ovviamente mi piace anche arrampicare vie facili, tutto ciò che sembra una bella salita. Non deve essere sempre un progetto difficile.
Il trad: la disciplina arrampicatoria per gente con le palle! Com’è scattata la scintilla per dedicarti a questo stile? Qual è l’aspetto che ti piace di più nel trad?
La prima visita a Indian Creek negli Stati Uniti. Andavamo così male in questo stile ed eravamo così stanchi già dopo due tiri. Io non sapevo nemmeno se mi piacesse davvero l’arrampicata in fessura. All’inizio sembrava solo sofferenza. Tanto dolore a mani e piedi. Ma la sfida era grande e il processo di apprendimento altrettanto. Per fortuna è andata meglio ed è stato più divertente dopo la prima settimana a Indian Creek. Era come confrontare ping pong e tennis. Sembrava uno sport diverso. Ma questo è il bello dell’arrampicata: sperimentare nuovi stili e cercare di diventare uno scalatore migliore. E se fai davvero schifo su qualcosa e poi migliori abbastanza velocemente. Era come iniziare a scalare una seconda volta.
In generale il trad aggiunge una sfida mentale all’arrampicata. Sei più nervoso per una scalata. Sono anche maggiori i rischi che ti prendi, soprattutto sulle salite in pareti dove non ci sono fessure perfette. Questa sfida mentale è una parte dell’arrampicata che mi piace molto. Cerchi di trovare la perfezione in come si arrampica su una linea, a volte non ci sono errori possibili e decidi tu quanti rischi vuoi correre. Superare le tue paure con un lungo runout per esempio è un grande processo e progresso nell’arrampicata, direi.
Alcune delle salite più memorabili che ho fatto erano trad. Non deve essere per forza molto difficile, può anche essere complicato da proteggere e persino aggiungere una sfida adeguata in questo modo. E quei ricordi ti rimangono in mente ancora più a lungo.
Parlaci di Greenspit: in quanto alla difficoltà e all’impegno che ti ha richiesto, come la collochi rispetto alle altre vie trad che hai salito finora?
Non posso paragonarla ad altre vie trad, questa è la prima salita su un tetto duro su trad che ho fatto. è sicuramente molto sicuro da scalare con protezioni super buone. È una linea così iconica che ho sempre voluto provare – sono una grande fan anche di Didier – quindi è stato facile trovare la motivazione per questo. Sono rimasta sorpresa da quanto sia eccitante da provare. Da incastri di mano a pugno, piedi in avanti e un duro boulder chiave alla fine, puoi trovare tutto su questo singolo tiro. È un pezzo di roccia perfetto. La sfida più difficile è stata quella di fare i giusti incastri e avere abbastanza potenza per il boulder finale. Ci sono state sicuramente delle cadute da cardiopalma proprio lì alla fine.
Come molte altre vie, sia tu che Jacopo avete salito Greenspit: ci riveli come gestite insieme il processo di salita di una via dura? Come stabilite chi sarà il primo a tentare? Si instaura tra di voi una qualche sorta di competizione (in senso positivo ovviamente)?
Non molto spesso, Jacopo riesce in salita prima di me perché è semplicemente lui che è più forte. Poche volte ho fatto vie prima di lui, come Greenspit per esempio, poi è diventato un po’ stressato (qui Babsi commenta con un altro smile, ndr). Quando c’è il dubbio su chi inizia per primo a tentare un tiro facciamo spesso sasso-carta-forbici. Non c’è proprio feeling da competizione, in arrampicata sportiva è molto più forte. Sul multipitch siamo una squadra e i nostri livelli sono più vicini in quello stile. A volte c’è una certa pressione su ciò che mettiamo su noi stessi per il desiderio che abbiamo di scalare una via.
Greenspit è una delle vie simbolo della Valle dell’Orco, una valle che ha comunque giocato un ruolo storico per l’arrampicata italiana. Quale impressione hai avuto di queste pareti? Credi che possano riservare ancora possibilità per il futuro dell’arrampicata?
Questa valle è incredibile. Tanta roccia in giro. El Caporal sembra un piccolo El Cap. E penso che ci sia ancora molto potenziale per trovare piccole gemme nascoste in questa valle. A me sembrava di cercare funghi. Non si sa mai quello che puoi trovare dietro l’angolo. Una valle con molto potenziale e uno dei pochissimi posti dove puoi trovare un’adeguata arrampicata in fessura in Europa.
Ci puoi rivelare quali sono i vostri prossimi obiettivi multipitch? A livello più generale, quali pensi che siano gli orizzonti verso cui si può spingere l’arrampicata libera sulle big walls?
Vogliamo tornare in Pakistan l’anno prossimo. E siamo super motivati ad arrampicare in Qualido in Val di Mello la prossima primavera. Aprire una nuova linea è un obiettivo della vita per me.
Alla luce della tua notevole versatilità ed esperienza, una domanda anche sul debutto dell’arrampicata alle Olimpiadi di questa estate. Il mondo dell’outdoor spesso non vede positivamente questa consacrazione unicamente “sportiva” dell’arrampicata e ciò che ne può derivare. Cosa ne pensi? Avremmo mai potuto vedere una Barbara olimpica?
Mi piace molto guardare le gare! Super emozionante! Ma non sono mai entrata completamente nelle gare di arrampicata da sola. Ho fatto alcune gare in passato e mi sono davvero divertita. La comunità e gli amici dell’arrampicata intorno a me si sono sempre concentrati di più sull’arrampicata outdoor, forse per questo ho sempre preferito arrampicare sulla roccia. Amo stare all’aria aperta, sarebbe stato difficile per me concentrare tutta la mia attenzione sull’arrampicata in palestra.
Vedo come un grande passo il fatto che l’arrampicata sia diventata olimpica. Ovviamente questo può aggiungere alcune sfide anche allo sport outdoor. Avere sempre più persone in falesia può creare qualche problema. Ma penso che come comunità d’arrampicata dovremmo essere consapevoli dei problemi, e cercare un modo per proteggere i luoghi che amiamo. Per l’arrampicata indoor c’è già un grande clamore forse dovuto anche alle Olimpiadi, molte persone entrano facilmente in palestra e scoprono questo sport, che è una buona cosa penso.
Non perdetevi il resto dell’intervista con il racconto della salita di Barbara e Jacopo su Odyssée.
Alberto Milani