09 Set ELETTROSHOCK
di Luca Maspes
Pubblicato su UP2007
Nel panorama montuoso delle Alpi Centrali, il Picco Luigi Amedeo è una parete di quelle che si possono considerare “anomale”. Mentre il fondovalle della Valmasino e della Val di Mello è identificato come la patria italiana della scalata su placca in aderenza, su questa parete e su altre montagne in quota è invece possibile incontrare ognuno di quegli stili che caratterizzano l’arrampicata alpina su granito: lame, fessure, camini, placche a buchi e anche verticalità più accentuata.
Il Picco può così essere paragonato a una sorta di Grand Capucin del Monte Bianco, mille metri più basso come quota e ambiente ma decisamente più remoto come ubicazione. La sua parete Sudest sono quasi 400 metri di verticale granito dalle colorazioni giallo e rosse, inciso da sequenze di fessure che si alternano a lisci e pronunciati strapiombi. Pochi i punti deboli di questa muraglia così lontana da raggiungere o anche solo da ammirare. Sono 3 ore abbondanti di cammino dal fondovalle, in una selvaggia vallata laterale del Masino, la Val Torrone, giustamente considerata come uno dei teatri di picchi granitici più affascinanti di tutte le Alpi Centrali. Ad affiancare il Picco la Fiamma del Torrone, la Punta Ferrario, l’Ago di Cleopatra, il Pizzo Torrone Orientale, la Costiera del Cameraccio, una corona unica con pareti che raggiungono a volte i 500 metri di altezza. Un luogo servito dal piccolo Bivacco Manzi-Pirotta situato al centro della valle, base di partenza per un giardino di pietra su cui si cimenteranno alcuni dei migliori scalatori del granito.
Sulla più inaccessibile parete del Picco Luigi Amedeo, la qualità delle vie che verranno tracciate negli anni è stata forse una conseguenza “ideale” del bellissimo stile dei primi salitori. I monzesi Nando Nusdeo e Vasco Taldo non furono tra quelli che si lasciarono intimorire dalle difficoltà che si preannunciavano tutt’altro che miti. Nel 1959, in soli due giorni di scalata e senza l’uso di chiodi a pressione, risolsero la linea più evidente al centro della parete: un sistema di fessure con tanto sesto grado, interrotte da qualche tratto in artificiale su quei datati cunei di legno che ancor oggi è possibile ritrovare in alcuni tratti della via. Per i due scalatori del gruppo “Pell e Oss” una prima che forse avvicinò l’alpinismo sul granito del Masino alle più impegnative vie di allora sulla dolomia e sul calcare.
Da quella via che diventerà una classica difficile della zona, la storia della parete proseguì non troppo rapidamente. Come logica del periodo, servivano forse nuovi mezzi e nuove convinzioni per immaginare qualcosa che andasse al di fuori della scalata tradizionale.
Così sulla parete Sudest, verso la fine degli anni Novanta solo due vie erano state aggiunte accanto alla “Nusdeo-Taldo”. Due firme importanti delle ormai frequenti campagne cecoslovacche trovarono posto nel malloppo di prime salite che i ceki si portarono a casa in quell’anno. Nel lato sinistro della parete una serie di nette fessure spesso bagnate diventavano la via “Formaggio e Vino”, superata in 3 giorni di arrampicata dalla cordata di Ludek Slechta, Ales Stransky e Richard Kastak. Una via che rimase sconosciuta per quasi dieci anni, fino alla salita invernale che vide all’opera i cugini Tarcisio e Ottavio Fazzini insieme a Norberto Riva. Quest’ultima una ripetizione rapida e veloce, nonostante i numerosi tratti in artificiale segnalati sulle relazioni piuttosto enigmatiche dei Cecoslovacchi. Una bella giornata aiutata da un clima quasi estivo, una ripetizione di pregio che, come vedremo in seguito, fece nascere altri propositi in questa forte cordata lariana. Sempre tornando al 1980 e qualche giorno più tardi la nascita della prima via, altri due scalatori cecoslovacchi, Frantisek Piacek e Bohuslav Ciernik, si ingaggiarono su una linea di fessure a destra della “Nusdeo-Taldo”. Un difficile strapiombo al secondo tiro, una sequenza logica di diedri verticali e infine su diritti fin sotto gli strapiombi sommitali. A destra del becco sommitale del Picco, i due cecoslovacchi uscirono per un profondo camino finendo così la “Ceki 80”, un nome rettificato da Igor Koller molti anni più tardi in “Feri-Ultra”. Sesto grado e qualche tratto in artificiale valutato fino all’A3. Come per la “sorella”, anche questa via se ne restò qualche anno nell’ombra prima dell’inizio delle ripetizioni, non molte a dir la verità, che la valutarono appieno nella sua bellezza e severità e portarono negli anni più recenti anche a salite in completa arrampicata libera e a vista (Rossano Libera, Simone Pedeferri) valutate intorno al 7a/7b.
Dopo la creazione di “Elettroshock” di cui parleremo tra poco, già nel 1990 si riparlò di chiodature moderne sul Picco, con la via di Adriano Carnati e Rudy Bianchi nel settore destro. Pochi spit per proteggere delle lisce placche all’inizio e una serie di fessure diagonali verso destra portano i due alla zona di cenge che affianca la base della cuspide sommitale del Picco. Da qui la cordata preferisce uscire per un facile sistema di rampe che raggiungono il colle a destra della cima. Avrà pochissime ripetizioni questa salita, forse la meno “raccontata” dell’intera parete. Quattro anni più tardi il ritorno di Igor Koller in Valmasino è sempre per la ricerca di vie nuove in arrampicata libera sulle pareti più verticali della zona, e al piccolo ma grande Igor manca proprio la sua firma sul Picco. Con il fuoriclasse Dino Kuran attacca anche lui sulla destra e raggiunge la cima lasciandosi dietro di sé una via severa, “Denti del Granito” che nella parte centrale ha un tratto in comune di 3 lunghezze con le fessure diagonali della “Bianchi-Carnati”. I pochi ripetitori dell’ultima invenzione slovacca, la paragoneranno come impegno complessivo a “Elettroshock”, meno sostenuta nelle difficoltà (6c+ obbligatorio e un tratto di A1 nel diedro d’uscita) ma più rarefatta e alpinistica come tipo di chiodatura. E siamo agli anni 2000. Qualcuno già pensa al grande muro verticale a destra della “Nusdeo-Taldo”, dove anche Manlio Motto e Romain Vogler mettono le mani desistendo dopo poche decine di metri. Un progetto che per ora è solo rimandato al futuro. Di stampo modernissimo e su difficoltà continue e costanti nasce invece nell’estate del 2002 una linea che si infila tra “Elettroshock” e le fessure di “Formaggio e Vino”. Si chiamerà “Foglia al Vento”, opera di un’altra fortissima cordata di granitisti local composta dai poschiavini Lorenzo “Pala” Lanfranchi e Carlo Micheli. Parte a zig zag sulla placca iniziale per poi spingersi sul muro giallo verticale, sulla lama staccata che darà il nome alla via. In alto, costeggiata per un breve tratto la via cecoslovacca, i due svizzero-italiani tornano sulla destra e tendono in diagonale per finire la via su una spettacolare placca sospesa sommitale. Il risultato finale sono 13 tiri di corda con difficoltà elevate e continue fino al 7c (6c+ obbligato) e, per chi ne sarà capace, un passo di A1 ancora da liberare. Lo stesso Lanfranchi tornerà sul Picco non troppo tempo dopo (2005) per unire idealmente due vie simbolo di Fazzini e Co. Insieme a Simone Pedeferri, partendo all’alba dal parcheggio in Val di Mello, i due concateneranno in giornata “Elettroshock” (4 ore) e “La spada nella roccia” al Qualido, rientrando al parcheggio dopo 18 ore complessive di corse e scalata.
Per chiudere la carrellata delle prime sulla parete Sudest del Picco Luigi Amedeo ci ritroviamo infine in una delle ultime stagioni, dove viene portato a termine un vecchio tentativo risalente a ben 16 anni prima. Nel 1990 Oscar Meloni, Luca Maspes e Adriano Marini erano saliti per 3 tiri a destra di quella che diventerà “Denti del Granito”. Maspes ci ritorna nel 2006 insieme a Rossano Libera e Anna Ceruti e in due giorni di scalata l’ultima linea di fessure logiche del Picco viene conclusa. Dedicata alla vittoria dell’Italia ai Campionati Mondiali di calcio, “Tutto Vero” è una scalata quasi interamente “clean” dove sono stati lasciati solo qualche chiodo e 2 vecchi spit alle soste risalenti al primo tentativo e sulla via. Qualche giorno più tardi l’unico breve tratto di A1 al terzo tiro sarà subito liberato da Libèra (il nome una garanzia!) con difficoltà di 6c.
ELETTROSHOCK
La nascita di questa via è stata sicuramente un momento “innovativo” nell’etico panorama alpinistico masinense, un passo avanti come concezione, ciò che forse più di altri ha avvicinato l’arrampicata di vecchio stampo a quella in veste più moderna.
Per il suo ideatore, Tarcisio Fazzini, la logica prosecuzione di un periodo fertilissimo della sua intensa e innovatrice carriera verticale, una escalation purtroppo stroncata da un incidente sulle montagne di casa nel gennaio del 1990.
Tarcisio è di Premana, piccolo paese delle Prealpi Orobiche arroccato nell’entroterra del Lago di Como. Lavora tutta la settimana nell’attività tradizionale del suo paese, forbici e coltelli. Il lavoro diventa un conto alla rovescia per l’arrivo del weekend. Elabora, immagina, sogna avventure e scoperte su quel granito che non è proprio sopra casa sua ma che ormai è diventato il suo parco dei divertimenti. Tarcisio arriva da stagioni di fuoco: prima diverse vie nuove su montagne e pareti simbolo come il Badile e il Precipizio degli Asteroidi, vie che flirtano con la tradizione e la ricerca dei punti deboli, di stampo alpinistico, tutte marchiate da un uso limitatissimo di spit. Nella seconda fase della sua vita invece un leggero cambio di vedute, una ricerca più mirata figlia di quel periodo new age: ancora prime salite ma ancora più estetiche, per questo forse più ricercate ma comunque linee che saranno quelle che ancora oggi sono dei capolavori di assoluta bellezza e impegno. Citiamo soprattutto l’esposta “Delta Minox” sul Pilastro della Cima Scingino e l’ambita “La spada nella roccia” sulla big wall del Qualido. Fazzini non si accontenta di risolvere alcuni dei maggiori problemi alpinistici delle Alpi Centrali, li vuole domare con classe, senza forzature, sfruttando la sua preparazione in arrampicata libera che costruisce nelle falesie che lui stesso chioda vicino a casa.
La ricerca di Fazzini in quel 1989 è sempre nella Valmasino più selvaggia e forse il suo nome doveva prima o poi incontrarsi con un’altra delle sue montagne più famose.
Sul Picco l’anno prima ci ha già messo le mani. Dopo aver fatto il doveroso ingresso sulla parete ripetendo la via classica, il weekend successivo è già alla base con il cugino Ottavio per iniziare la “sua” via. Un primo tentativo coraggioso che però si arresta sui muri verticali che seguono le tre lunghezze basali sulle placche. “Il tipo di salita che si profilava non era secondo la linea da noi adottata, volevamo salire il più possibile in libera, forzare la via facendo troppo uso di artificiale era contro le nostre idee. Quindi preferimmo scendere lasciando il campo ad altri pretendenti con magari altri modi di interpretare l’arrampicata. Nonostante tutto l’attrazione che provavo per questa parete rimase molto viva in me”.
Arriva l’inverno ma è un inverno di quelli anomali. Si scala in t-shirt sulle placche della Val di Mello mentre Tarcisio, Ottavio e Norberto Riva tornano su al Picco a ripetere per primi la misteriosa via di sinistra dei Cecoslovacchi. Durante la scalata l’impegno però non li distoglie dal guardare spesso sulla destra, nel tratto di parete dove dovrebbe materializzarsi l’idea della via nuova. Una grande lama a metà parete indica la strada e i tre riescono con gli occhi a delineare un’altra possibilità per riuscire senza forzature eccessive, forse più arrampicabile del precedente tentativo.
È solo questione di qualche mese e nell’estate la cordata è pronta. Con quattro uscite diluite nell’estate 1989 la linea di “Elettroshock” prende forma. È una scalata che non dà respiro e sulla quale per la prima volta fece la sua comparsa il trapano a batteria sulle pareti in alta quota, ad oltre 3 ore di marcia dal fondovalle mellico.
“La seconda uscita è proprio il massimo: trapano e video, siamo proprio alla soglia del 2000. Non neghiamo che provammo una sorta di turbamento quel sabato sera mentre attraversavamo la Val di Mello. Stavamo camminando in un luogo dove le urla alla lotta allo spit facevano ancora eco tra i rami degli alberi e gli occhi indiscreti della vecchia guardia non avevano ancora finito di esprimere la loro disapprovazione. Ma chi ha detto che non si può piantare uno spit, che non si può usare il trapano, esiste forse la Bibbia del climber? O i dieci comandamenti dell’Alpe? Noi crediamo che ognuno debba essere libero di scegliere la strada che più gli si addice e necessita”.
Un nuovo attrezzo che oggi è la normalità, l’”arma” per riuscire a proteggere e rendere “libera” una linea che pur ben definita poteva presentare ancora tante incognite, il trapano a batteria. Diverse fessure che potevano cedere all’arrampicata artificiale tradizionale e all’uso di grandi quantità di materiale, divennero con il suo aiuto dei meravigliosi tiri concepiti per la scalata libera.
Poco oltre la metà della parete l’arrivo alla grande lama, è il quarto ed ultimo weekend per aprire la via.
“L’assalto finale è il 20 agosto, giornata stupenda. Il punto più alto raggiunto nel tentativo precedente era a circa 40 metri dalla base della grande lama, la via era stata progettata attorno ad essa, eravamo molto emozionati. Avevamo scrutato la lama con il binocolo ma finché non ci mettevamo le mani non sapevamo com’era. Riusciamo a superarla con due tiri in fessura semplicemente fantastici. Quando a tarda sera concludiamo la via siamo al settimo cielo, contenti per aver fatto una bella salita, per aver portato il trapano e perché il mondo è bello!”.
Come per le altre realizzazioni della banda Fazzini, “Elettroshock” divenne presto un riferimento estremo per gli scalatori appassionati del granito. Un obbligatorio per quegli anni severissimo, intorno al 7a, e la sostenutezza dell’itinerario intimorivano però anche i più preparati. Nei quasi vent’anni passati dall’apertura le ripetizioni così non sono mai arrivate a più di 2 o 3 cordate all’anno e la via più spettacolare del Picco è sempre considerata un “must” della scalata sulle pareti dell’alta Valmasino. I primi a ripeterla furono probabilmente i Ragni di Lecco Paolo Crippa e Dario Spreafico, fortissima cordata artefice delle prime ripetizioni di altre difficili vie di quegli anni. A breve distanza, nel caldo inverno 1992/93 in una sola giornata venne liquidato anche il problema della ripetizione “invernale”. Gli espertissimi Marcello Ricotti e Daniele Bernasconi ricordano di una scalata senza grossi problemi. La stagione è calda, il Picco ha una favorevole esposizione e su di esso la neve non si ferma. Pare così di arrampicare in estate durante quella giornata di febbraio.
Passano ancora gli anni e dobbiamo attendere il 2000 per vedere un solitario all’opera sulla via. Nel primo giorno di giugno Luca Maspes sale slegato i primi 50 metri della via e poi comincia ad autoassicurarsi. Nel tardo pomeriggio lascia le due corde da scalata fissate sui primi tre tiri delle placconate basali, bivaccando poi alla base della parete. Il giorno seguente è una storia di fatica. Mentre dal punto di vista della scalata i problemi vengono superati di slancio, la parte più complessa di questa solitaria si rivela invece durante le oblique e strapiombanti discese e le successive risalite in jumar per recuperare il materiale. È in cima dopo più di 10 ore, una solitaria prevalentemente in autoassicurazione ad eccezione di alcuni tratti fino al 6a+ saliti in free solo.
Nel periodo della libera infine era ovvio che qualcuno si interessasse anche a portare al perfezionamento quello che Fazzini auspicava prima di ogni sua nuova via. “Elettroshock”, già al 90% ripetuta in arrampicata libera, presentava ancora qualche breve tratto da superare senza fermarsi sui chiodi. Ci provano i fortissimi scalatori slovacchi durante una delle loro ultime campagne alpinistiche nel Masino. Mentre Igor Koller e Dino Kuran inventano il loro itinerario nel lato destro della parete (“Denti del Granito”) i compagni Oto Bajana e Martin Heuger si dedicano a “Elettroshock”. In più giorni di permanenza riescono a passare anche sul sostenuto quarto tiro e dichiarano il 7c (grado severo). Più sopra evitano il liscio pendolo del tiro successivo con una variante diretta in placca protetta da 3 nuovi spit (7b+) e filano via in cima senza toccare più nessuno spit.
È il perfezionamento definitivo della via.
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