Islanda di ghiaccio - Up-Climbing

Islanda di ghiaccio

 
                  Islanda cascate nella terra dei ghiacci
 
di Mario Sertori
 
L’uomo moderno è in balìa delle mutazioni climatiche che vanno sconvolgendo il pianeta. Si preannunciano tempi difficili anche per gli ice-climber alpini? A sentire i racconti sconsolati dei cascatisti nostrani, sembrerebbe di si. L’idea di raggiungere l’Islanda, isola sperduta nell’oceano a due passi dal circolo polare, per scalare cascate di ghiaccio non è quindi del tutto balzana. Forse c’è di meglio in zone meno remote e maggiormente collegate con i principali snodi aerei europei, ma il nome stesso del paese – Iceland – ci dà buona garanzia di presenza della materia prima, malgrado un clima bizzarro con una grande escursione termica.
 
Peter, il nostro corrispondente sul posto e futuro padrone di casa, ha tenuto a rassicurarci che il luogo è adatto alle nostre esigenze, le colate sono ben formate e la meteo è favorevole. Come prova ha inviato una splendida foto della sua casa con lo sfondo di una bastionata rocciosa tappezzata di una gran quantità di ghiaccio. Dopo varie ore di volo sopra un’infinita distesa di mari cupi, ci destiamo dal torpore dell’aria pressurizzata accecati dal vivo chiarore che irrompe dall’oblò: è lei, l’isola misteriosa che si mostra senza veli di nuvole al nostro occhio curioso, candida, luminescente e apparentemente senza vita. Ghiaccio…sì, molto ghiaccio, ma orizzontale, con seraccate e crepacci. Siamo sulla verticale del Vatnajökull il più esteso ghiacciaio d’Europa che scendendo verso sud sembra intenzionato a buttarsi a mare.
 
Oltre, grandi fiumi smeraldini disegnano arabeschi nel bianco. Sono convinto di dover atterrare in un deserto glaciale, quando uno scossone preannuncia un abbassamento di quota e all’orizzonte appaiono le prime tracce di umana presenza: al riparo di una baia intuisco Reykjavik, una geometrica pletora di case abbracciate tra loro per meglio difendersi dalle insidie degli spietati venti artici. Una volta toccata terra e recuperata la ferraglia, riempiamo completamente un fuoristrada di media stazza e ci mettiamo in cammino. Rotta a nord, poi a est. Dalla destinazione ci separano un po’ meno di 400 km e dai nostri calcoli con 4 ore dovremmo cavarcela.
 
Ma dopo aver attraversato un fiordo passando da un buio tunnel sottomarino (che ci dà qualche inquietudine, pensando anche alla sismicità dell’area), la neve turbinante ci coglie di sorpresa, la strada si trasforma in pista e l’auto in slitta, e la nostra meta diviene sempre più lontana. Cinque ore di guida estenuante e finalmente tocchiamo le porte di Akureyri la seconda città dell’isola. Tiriamo un sospiro di sollievo per essere di nuovo tra gli umani dopo tanti chilometri selvaggi. Sono le 23, il termometro segna -13 e la visibilità è finalmente accettabile.
 
Ad una rotonda la macchina si ribella ai miei comandi e dà un colpo di coda derapando di lato, ma niente paura: due ragazzoni in maglietta a maniche corte ci rimettono in carreggiata con energia. Simpatici questi islandesi! Oltrepassato un ultimo fiordo e infilata una stradina di campagna giungiamo, navigando in 40 centimetri di neve soffice, alla fattoria di Peter Hlöðver. Ci viene incontro un omone dal sorriso vivace e dai modi gentili ma decisi, che in pochi minuti ci mette tutti a dormire in una grande casa vicina alla sua. Konny, la compagna di Peter, si prende cura di noi per tutta la settimana, nutrendoci a dovere, ma soprattutto conversando su mille temi.
 
Memorabili le cene a casa Hlöðver con Peter che racconta del nonno pescatore e dei terribili inverni quando gli uomini che prendevano la via del mare spesso non facevano ritorno o delle pecore e delle mucche che venivano portate ai pascoli estivi attraverso una galleria scavata artificialmente nella scogliera. Ora che la galleria è crollata in uno dei tanti misteriosi sconvolgimenti dell’isola, le bestie hanno acquisito il privilegio di recarsi in vacanza in barca, trasportate su una chiatta, tra gli spruzzi delle balene, che ondeggiano numerose in queste acque. Gli abitanti parlano un antico danese che potrebbe essere uscito da un buco del tempo, forse dell’anno 1000. Le parole moderne si adattano: il telefono è “filo che parla” e il computer “la strega che conta”.
 
Gli islandesi sono pochissimi, perlopiù concentrati nella capitale e nell’elenco telefonico sono ordinati per nome proprio. Fate e folletti difendono con forza i loro diritti, arrivando a far deviare il corso delle strade per non fare invadere le loro residenze segrete. In compenso gli isolani hanno il maggior tasso di diffusione di internet d’Europa, quasi a voler essere sempre in linea con il mondo nonostante la posizione geografica. Dalla tavola degli Hlöðver non ci si vorrebbe mai alzare, ma siamo qui per le cascate…anzi sono stato ingaggiato per questo. Partiamo con un cielo azzurro promettente su una pista preparataci da Peter con un mezzo un po’ più aggressivo del nostro tranquillo fuoristrada. Sono cinque chilometri di bastionata impiastrata di ghiaccio e ad ogni 100 passi non possiamo che fermarci a guardare all’insù le meraviglie di cristallo che ci strizzano l’occhio.
 
Finalmente arriviamo in spiaggia, proprio una vera spiaggia: sabbia nera spazzolata dalle onde dell’oceano e sovrastata dalla più estetica falesia di ghiaccio mai vista. Colate verticali cadono a picco sull’acqua scura, muraglie sospese su questa movimentata distesa marina. Si scala su sfondi geometricamente perfetti, in cui le linee degli orizzonti si incontrano solamente a 90°. Gabbiani frenetici svolazzano incitandoci all’azione, felici di vedere un po’ movimento che non sia quello monotono delle onde. Da queste coste salpò verso l’ignoto Eric il Rosso e domando mari burrascosi approdò nell’allora sconosciuta Groenlandia. Noi, molto meno audaci, ci accontentiamo di salire ghiacci  con la strana sensazione del mare Artico sotto i piedi, un misto di euforia e paura che è anche lo splendore di questa folle scalata.
 
Alla sera, mentre stiamo ritornando ipnotizzati dalle striature dell’aurora boreale, una bella sorpresa: la figlia di Konny ci sta raggiungendo in motoslitta con un thermos di caffè caldo e biscotti. I giorni seguenti sperimentiamo il vero clima invernale islandese: il sole non si vede più e tentiamo di abituarci a scalare in balìa dei venti vorticosi, in una sorta di danza cieca. Konny mi mostra delle fotocopie con le linee di salita finora esplorate dai locali e dall’armata austro-tedesco-canadese che ha battuto l’area nella scorsa stagione. Grandi ice-climber come Albert Leichtfried e Markus Bendler, insieme alla coppia esplosiva Ines Papert/Audrey Gariepy, hanno colto notevoli risultati immortalati dall’occhio digitale del fotografo Hermann Erber e addirittura da una troupe della Tv tedesca che ha girato un filmato sull’exploit delle fanciulle:1000 metri di ghiaccio in 24 ore.
 
Su una delle immagini che ho sottomano Leichtfried ha disegnato il tracciato della prima via di misto dell’area, una mostruosità strapiombante irta di candele sospese: Capitain hook, vale M9+ ed è dedicata allo scomparso Hary Berger. Sul sipario ghiacciato che precede Capitain Hook, ho notato un grande pilastro staccato che non compare sulle mappe, un tronco d’albero cristallizzato lungo come un incubo: Stefano ed io ci aggrappiamo alla sua corteccia cariata, una poltiglia masticata dal genio del luogo e sputata sulla candida superficie del ghiaccio. E’ una bella prova questa scalata, una guerra di nervi che ci impegna per parecchie ore fino al bordo della muraglia, dove raffiche furibonde del vento di Groenlandia ci vorrebbero strappar via. Ma ormai siamo alti, lo sguardo corre sopra l’orizzonte lattiginoso e ancora ci raggiunge il mugugnare rabbioso delle onde.
 
Dopo tanto freddo, ci concediamo un bagno caldo nelle vasche naturali al lago Mivatn. E’ una sensazione di assoluto benessere galleggiare immobili in quest’acqua opaca, un po’ storditi dall’odore forte di zolfo. Getti di vapore a cento gradi fuoriescono dal ghiaccio, mettendo a nudo chiazze di terra nera e di lava. Intorno, neve a perdita d’occhio, detriti vulcanici, relitti glaciali e l’inquietante litania delle acque che bollono. Un paesaggio terribile, da alba del mondo. L’Islanda è questo, fuoco e gelo, candore e inferno, silenzio e rombo. Che avesse ragione Jules Verne che collocò proprio in queste lande l’ingresso del centro della terra?
 
Note Pratiche
 
Trasporti
L’Islanda si raggiunge in aereo via Amsterdam o Copenaghen. Il biglietto costa circa 700 euro. Il noleggio di un veicolo 4×4 (altamente consigliato) si aggira sui 700 euro a settimana. Limite massimo di velocità sulle strade asfaltate 90 km/h.
 
Dove scalare
Kaldakinn è situata nella parte nord orientale dell’isola e si raggiunge dall’aeroporto internazionale di Keflavik seguendo le indicazioni per la capitale Reykjavik (circa 40 minuti) e poi quelle per Akureyri con la statale n.1. Ad Akureyri seguire ancora le indicazioni per la statale n.1; poco prima delle famose cascate di Godafoss girare in direzione nord per la strada n. 85 e continuare sempre in questa direzione fino a Bjorg (l’ultimo tratto della strada è denominato 851). Le cascate sono dislocate sulla barra di rocce che inizia nei pressi della fattoria e termina dopo cinque chilometri sull’oceano. Le più vicine si raggiungono in pochi minuti, per le altre si può percorrere, neve permettendo, una pista che corre sotto la scogliera fino alla spiaggia.
 
Mulafjall è un sito di cascate abbastanza vicino a Reykjavik (circa 45 minuti) nel fondo del fiordo di Hvalfjörður. Da Reykjavik seguire le indicazioni per la statale 1 e, all’altezza di Saurbær, girare a destra (strada n. 47) per Eyrfjall. Proseguire costeggiando tutto il bordo del fiordo per una trentina di chilometri. Posteggiare sul bordo della strada e poi a vista fino alle cascate.
 
Glymsgil: un po’ oltre Mufjall, a 4 km dal fondo del fiordo di Hvalfjörður, è una gola spettacolare, in condizioni di solito fino a fine febbraio, con cascate di ogni genere di difficoltà.
 
Haukadalur è situata nella parte ovest dell’isola in fondo al fordo di Hvammsfjörður, a circa due ore e mezza dalla capitale e si raggiunge seguendo la statale 1 e poi la strada 60 per Búðardalur. Molte cascate di alto livello.
 
Per altre info:
icebjorn
www.outdoors.is/ice-climbing-areas
www.edinburghjmcs.org.uk/pdfs/iceland.pdf
www.hofsnes.com
www.isalp.is
 
Valuta.
Corona islandese che si può acquistare direttamente all’aeroporto di Reykjavik.
 
Alloggio.
Gli alberghi sono di solito molto cari, ma è facile trovare alloggio a prezzi più che ragionevoli nelle Farmhouses (in camere private all’interno della fattoria) o nelle Farmer’s Guesthouses (in fattoria, ma separati dai proprietari di casa) con uso di cucina. Consultare il sito www.farmholidays.is..
A Kaldakinn si raccomanda la sistemazione (mezza pensione o solo per dormire) presso la fattoria di Bjorg  (hp.bjorg@simnet.is oppure bjorgum@bjorgum.is ): ottimi prezzi e ottima cucina. Sito della fattoria Bjorn e info ghiaccio
A Haukadalur  consigliata la fattoria Stóra-Vatnshorn sulla strada n. 586
 
 
Clima.
Bizzarro, imprevedibile e mutevole. Non è particolarmente freddo, ma bisogna prepararsi a scalare con neve e vento. Sono frequenti rialzi  improvvisi delle temperature anche in pieno inverno, per l’influenza dell’anticiclone delle Azzorre. Le condizioni migliori si hanno quando l’anticiclone si scontra con l’area di bassa pressione che staziona quasi perennemente vicino all’isola e si generano forti correnti settentrionali che abbassano notevolmente le temperature.
 
Periodo migliore
Da gennaio a fine marzo. A dicembre le ore di luce sono molto poche.
 
Da vedere
Il territorio islandese  è vario, affascinante e ricco di luoghi da visitare. Molto interessante è la zona del lago Myvatn, poco distante dall’area di scalata di Kaldakinn, con le sue vasche naturali di acqua calda e i numerosi crateri vulcanici. Nella penisola di Snæfellsnes si trova lo Snæfellsjökull, il vulcano dove inizia il Viaggio al centro della Terra del romanzo di Jules Verne. A circa 40 minuti da Reykjavik c’è la famosa “Laguna blu”, una stazione termale di acqua calda di colore azzurrognolo, in un deserto di lava e di nere spiagge.
 
Bibliografia.
Guide Routard “Islanda” Il Viaggiatore 2005
Giorgio Manganelli “L’ isola pianeta e altri Settentrioni”.Piccola Biblioteca Adelphi 2006
W. Hugh Auden “Lettere dall’Islanda” Archinto 2003
Halldór Laxness “Gente indipendente” “L’onore della casa” Iperborea
 
Mario Sertori febbraio 2008

Condividi: