08 Lug John Bachar (1957 – 2009)
Lo hanno trovato senza vita ieri alla base del Dike Wall, una parete di granito sospesa sul Mammoth Lakes nei pressi di Bishop in California dove John viveva con il figlio Tyrus. Bachar stava scalando in solitaria integrale su questo bel muro roccioso della Sierra Nevada che conosceva perfettamente. Non sono note le cause dell’incidente.
Era nato nel 1957. Cresciuto a Los Angeles aveva frequentato l’università di UCLA dove il padre era professore di matematica, ma si era presto allontanato da questo ambiente per dedicarsi all’arrampicata a tempo pieno.
Con John Bachar se ne va una leggenda del free-climbing e un mito per generazioni di scalatori. Fu uno dei primi a credere nell’allenamento a secco e nel bouldering (allora non si usava ancora il crash pad) e a praticarlo assiduamente arrivando a risultati sorprendenti, tanto da essere considerato come uno dei più forti scalatori in libera degli anni ’80. Molti sono i passaggi sui massi diventati dei capisaldi nella storia di questa disciplina verticale che portano la sua impronta.
Emblematica è l’immagine scattata da Reinhard Karl che ritrae John che suona il sassofono, alla base di un blocco dove sta arrampicando Ron Kauk. E’ un po’ il simbolo di Yosemite di fine anni ’70 e del leggendario Camp 4, dove si respirava aria di gioco, ma anche di rivoluzione.
Divenne celebre come “Scala Bachar” una sua geniale invenzione che consiste appunto in una scala di corda con pioli appesa e inclinata tanto da essere molto strapiombante, che serve per sviluppare la forza facendo una serie di trazioni passando da un piolo all’altro.
Si narra che john riuscisse a fare 1 trazione su un solo braccio con sovraccarico di circa 6 kg.Proprio dal contatto con Bachar a Yosemite, anche Wolfgang Güllich intuì l’importanza dell’allenamento specifico ed arrivò a salire, primo al mondo, il grado 9a con Action directe.
Bachar si formò alla scuola di Jim Bridwell, ma la sua abilità e intuito trovarono presto una direzione autonoma; è del 1975 il capolavoro sulla Washington Coulumn Astroman inventata con Ron Kauk e John Long, la via in libera considerata, allora, tra le più difficili del mondo.
Ma la specialità in cui si distinse è stata senza dubbio la solitaria senza corda, il free-solo, della quale divenne un grande interprete. In questo stile salì molte vie dure della California. Faceva il 5.11 senza corda quando il 5.12 non era ancora stato salito. Coerente con le sue idee, non ha mai accettato di aprire vie calandosi dall’alto o le chiodature troppo fitte.
Se oggi possiamo assistere a performance pazzesche come quelle di Honnold, di Dean Potter o di Tommy Caldwell è grazie al genio innovatore di questo audace precursore. Basti pensare che nel 1986, cioè quando questi nuovi astri non erano ancora nati o erano all’asilo, con un altro grande di Yosemite, Peter Croft, salì il Nose sul Capitan e la Regular route all’Half Dome in sole 14 ore!
Alcune delle sue più importanti free-solo: New Dimensions 5.11a,The Nabisco Wall, (Waverly Wafer) 5.10c, Butterballs 5.11c e Butterfingers 5.11a, Enterprise 5.12b, The Gift 5.12c, e Father Figure 5.12d/13a. Stupefacente la onsight senza corda di The Moratorium 5.11b
Bachar lavorava in qualità di Director of Design per Acopa International LLC una ditta produttrice di calzature per arrampicata. Michael Reardon realizzò su di lui un bellissimo documentario: One Man, One Myth, One Legend (2005).
Peter Croft ha detto di lui: «John Bachar è stato senza dubbio il più grande arrampicatore della nostra generazione». John Long ha aggiunto: «Non c’è mai stato nessuno come John Bachar e mai ci sarà in futuro».
Nel 2006 era stato protagonista di un brutto incidente stradale a Salt Lake Sity in Colorado e aveva subito la frattura di alcune vertebre.
E’ una molto notizia triste, come tutte quelle che parlano di morte, ma in questo caso saperlo perduto non sembra possibile. Come se quelle scarpette Boreal Firè con quella fantastica mescola che faceva credere di essere invincibili negli anni ’80, calzate da quel ragazzo biondo potessero ancora progredire sulla parete di granito nell’armonia di movimenti di cui Bachar era maestro. Senza vincoli tecnologici e senza rete, lontano anni luce dai riflettori degli exploit.
Grazie John
“ Lungo la strada ci sono alcuni massi di roccia, chiamati boulder. Boulder significa piccolo blocco, masso erratico. Lì si danno al bouldering Ron Kauk e John Bachar. Sono dei boulderer, cioè arrampicano su questi massi. I blocchi alti al massimo 5 metri gli bastano come montagna. All’inizio rispetto a queste persone provavo un sentimento di superiorità, considerandoli come alpinisti che non hanno il coraggio di alzarsi più di 5 metri da terra. John mi mostra il suo problema, di cui tenta la soluzione da 3 mesi. E’ uno spigolo strapiombante completamente liscio alto 3 metri.
E’ incredibile che qualcuno riesca ad afferrar visi. Io non ci riesco nemmeno per un secondo. E’ più ginnastica che arrampicata su roccia, ma lo spigolo è un problema posto dalla natura. John suona il sassofono e Ron arrampica. E’ terribilmente abile e con le sue dita d’acciaio e la sua raffinata tecnica di piedi riesce a tenersi sulle più piccole asperità della roccia. Non avrei mai creduto possibile qualche cosa di simile; qui è stata raggiunta una nuova qualità nel rapporto uomo-roccia. Benchè si possano considerare Ron e John, a prima vista, come dei barboni, in realtà sono dei veri feticisti della prestazione atletica.
Non ho mai visto dei fanatici come loro che esplicano la loro passione solo per se stessi. Ogni giorno fanno allenamento di forza sulle attrezzature che si sono progettate e costruite loro stessi, e su sbarre di diversa grandezza di impugnatura. Si esercitano a danzare sulla corda per migliorare il senso dell’equilibrio, fanno esercizi di yoga per la scioltezza e prendono droghe per migliorare lo stato d’animo…
Qui ho compreso veramente che per l’intensità dell’esperienza la grandezza della montagna non conta. Un giorno John riesce a risolvere il suo problema e in cima, dopo tre metri, è veramente felice come lo ero io in cima all’Everest. E inoltre, nessuno al mondo riesce probabilmente in quei tre metri.
Facciamo bouldering tutti i giorni e quando ne ho abbastanza tolgo le mie scarpette EB e metto via il sacchetto della magnesite. Poi mi tuffo nel lago Tenaya, per lavarmi dalla magnesite e dalla mia ambizione.
John e Ron fumano un joint ed io leggo Carlos Castaneda per cercare di capire meglio tutta questa realtà. “Separate reality” e “Tales of power” si chiamano le più difficili vie di arrampicata nel nuovo super-grado di difficoltà 5.12, secondo il titolo dei libri di Castaneda, 5.12 è solo un numero, ma significa molto. In fondo non si dovrebbe mai costruire un’esperienza sulle cifre. Ma come 9.9 significa una velocità incredibile sui 100 metri piani, così 5.12 significa una arrampicata follemente difficile. Qualche volta le cifre sono più onoste delle parole.
Benchè John abbia compiuto parecchie prime ascensioni di 5.12, il suo campo è il bouldering. La materia con cui realizza i suoi sogni sono le scarpette EB e la magnesite, non gli serve altro… John definisce il bouldering come “portare a spasso il gorilla che sta in me”
Reinhard Karl, Montagna vissuta: Tempo per respirare, Dall’Oglio 1982