Skotonata Galactica alla Cima Scotoni - Up-Climbing

Skotonata Galactica alla Cima Scotoni

Sono passati 20 anni dall’apertura di Skotonata Galactica alla Cima Scotoni nel gruppo del Fanis in dolomiti. In occasione della produzione del film che ne rievoca la storia, presentato quest’anno alla selezione per il filmfestival di Trento, abbiamo fatto due chiacchiere con Ivano Zanetti uno dei tre componenti la cordata che portò a termine l’impresa l’1 settembre del 1994 dopo più di un mese di su e giù per la parete Sud.

Dalle risposte alle mie domande, nonostante siano passati 20 anni, si coglie ancora lo spirito e le motivazioni che caratterizzarono quella loro avventura e che ci permettono di rivivere la realtà di quegli anni in fondo ancora border line tra la scalata delle generazioni precedenti fatta di valori come il coraggio il rischio la sofferenza la tradizione e quella più moderna proiettata verso l’abbattimento dei limiti tecnici grazie alla riduzione del rischio e all’aumento della sicurezza.

Ivano chi erano i componenti del team?

Eravamo tre scalatori: io, Bruno Tassi detto Camos e Gianbattista Calloni detto Garafao, inoltre abbiamo avuto il supporto logistico di mio fratello Carlo, della Paola Faini e di Luca Spanò. Un aiuto ci è venuto anche da Maurizio Jori un amico di Corvara.

Come vi siete conosciuti col Camos?

Molti anni prima alla Cornagera, dei torrioni di ottima roccia nei pressi di Selvino sopra Bergamo. Allora non esistevano ancora falesie come Cornalba o Valle dei Mulini. Poi lavoravamo spesso assieme, facevamo disgaggi, come molti climber.

Come vi è venuta l’idea di aprire una via proprio in Dolomiti?

Eravamo stufi di stare a guardare. Volevamo  fare qualcosa ma volevamo farlo a modo nostro, senza essere condizionati dalla tradizione dell’alpinismo anzi magari andando contro ad essa. Volevamo portare le alte difficoltà su una grande parete dolomitica e usare le tecniche moderne di assicurazione che utilizzavamo in falesia cioè gli spit.

Avevate dei modelli? Quali erano gli alpinisti di riferimento.

Entrambi proveniamo dalla Lombardia che geograficamente è al centro della parte settentrionale d’Italia e per questo possiamo andare a scalare sia all’ovest che all’est. Girando così tanto non potevamo non entrare in contatto con persone e stili diversi, senza tener conto che la rivoluzione dello spit è arrivata dall’ovest, dal Verdon per esempio, una meta per noi classica già da anni. Nel 1994 si ripetevano tranquillamente vie a spit aperte dai vari Michel Piola sul Bianco o dai fratelli Remy a Sanetsch in Svizzera per esempio, o sul granito al di là del Gottardo. 

Io stesso avevo già aperto a spit itinerari sulle prealpi lombarde, in zona Grigna, come Rebus al Medale sopra Lecco nel 1986. Quindi per noi era “normale” usare lo spit come protezione per salire pareti che a chiodi sarebbe stato impossibile ai tempi.

Hai pronunciato la parola chiave. Gli spit in Dolomiti ancora non c’erano?

Praticamente no a parte la via Nureyev sulle Pale di San Martino chiodata dall’alto da Manolo l’anno prima e che provocò uno scandalo nell’ambiente e una serie infinita di polemiche. Ma Manolo è Manolo…

Se al rifugio Scotoni ci fosse stato il controllo ai raggi x tipo aeroporto vi avrebbero fatto passare?

Sicuramente ci avrebbero fermato e arrestato all’istante perché nei nostri zaini avevamo trapano a batteria e numerosi spit e questa cosa era inaccettabile a quel tempo per la quasi totalità degli alpinisti locali.

Quanti ne piazzaste lungo la via?

Alla fine neanche poi tanti. Su 22 tiri di corda 80 spit soste comprese. Considera che le difficoltà furono abbastanza elevate per quei tempi. Si arrivò al limite dell’8a con un obbligato di 6c. In Dolomiti fu per qualche tempo la via più difficile in libera e sono molto orgoglioso del fatto che fummo noi stessi a liberarla con Camos che salì il tiro di 7c+, che lui però valutò 8a. 

Dai racconti degli amici viene fuori comunque un affresco divertente della vostra banda. Un gruppo scanzonato e un po provocatore, piuttosto incline a far baldoria piuttosto che lottare con l’alpe.

È vero eravamo piuttosto cialtroni e casinisti. Eravamo accampati al laghetto del Lagazuoi in mezzo ai buchi scavati dalle granate della grande guerra sotto la parete quindi piuttosto appartati, ma quando si scendeva giù al rifugio si beveva e ci si divertiva ma era soprattutto il Camos che teneva banco col suo linguaggio colorito mezzo italiano mezzo bergamasco che storpiava tutti i nomi e con le sue sortite sulla fisica dei quanti su cui era molto preparato nonostante facesse il muratore… Poi in seguito, dopo la sua morte, ho scoperto che scriveva anche poesie.

Avete avuto battibecchi coi locali?

Eccome. Non perché dei forestieri stessero aprendo una via sulle loro montagne anzi spesso venivano a vedere e ci incoraggiavano, fino a che non sentivano il rumore del trapano che echeggiava nella valle allora cambiavano espressione. 

Ci furono un paio di momenti di tensione al limite della rissa.

Praticamente tutti gli alpinisti più in vista della zona si schierarono contro di noi e contro all’uso sistematico dello spit. Arrivarono persino a dire che Dibona si sarebbe rivoltato nella tomba. Ora sembra incredibile in quanto ormai tutti, compresi quelli che ci avevano attaccato e che però andavano ad allenarsi in falesia, hanno cambiato idea e non solo ripetono le vie spittate ma ne stanno aprendo molte e in Dolomiti…

Come sceglievate chi apriva un tiro? 

A caso. È vero che Camos era sicuramente il più bravo come clinker, aveva già liberato Peter Pan a Cornalba e vedeva ormai vicino l’8b, ma tra noi non si facevano questioni di grado. Poi casualmente successe che il tiro chiave lo apri  lui e non io.

E Garafao?

Eh eh, al poveretto lasciammo solo un tiro (di 6a) ma lui divenne famoso per una disavventura capitatagli mentre stava risalendo con le jumar e il materiale. Successe che si sovraccarico troppo e uno zaino gli scivolo di traverso con gli spallacci che comprimevano un’arteria sotto l’ascella. In breve gli si bloccò la circolazione del sangue al braccio e le mani non riuscivano più a stringere le maniglie jumar. Così iniziò a urlare minacciando di mollare tutti gli zaini contenenti materiale indispensabile che si sarebbe disintegrato al suolo. Dovette intervenire Camos con tutta la sua autorità (leggi insulti e bestemmie) per farlo desistere e piano piano riportarlo alla ragione.

Ma poi si rifece con la jugoslava che lavorava al rifugio…

Sì forse. Non si è mai saputo veramente ma tra loro c’era intesa. Passarono qualche notte all’accampamento in tenda da soli e quando noi tornammo trovammo l’altra tenda devastata dal cane di lei. Immaginati la reazione del Camos. Si mise a rincorrere Garafao e se l’avesse preso non si sarebbe limitato a sgridarlo. In queste cose sapeva diventare piuttosto cattivo.

Skotonata ha avuto tante ripetizioni?

Si è stata molto ripetuta e in quegli anni è diventata una classica. Un anno dopo è stata salita da Cominetti poi da molti bergamaschi compresa anche la Nives Meroi e Yuri Parimbelli. Tutti si sono divertiti trovandola una bella via, peccato che pochi la finiscano fermandosi alla seconda cengia e uscendo dalla parete mentre invece noi arrivammo fino in vetta. Quegli ultimi 7 tiri ci sono costati fatica e dispiace che siano dimenticati dalle relazioni tecniche di guide e siti web.

Tornando alla vostra etica. Siete stati accusati di aver addomesticato la parete.

Non avevamo un etica di apertura ferrea, nel senso che cercavamo la libera ma non in maniera ossessiva e soprattutto mai pericolosa. Non eravamo tra quelli che chiodano in apertura troppo lontano con il rischio in caso di caduta di farsi del male solo per dimostrare ai ripetitori la propria abilità ma neanche di quelli che non provano a passare alla prima difficoltà e bucano. Cercavamo la libera il più possibile, nonostante il peso non indifferente dei trapani e delle pile di allora, e l’obbligato su roccia improteggibile lo dimostra, ma senza mai perdere di vista la sicurezza.

Nel film Marcello Cominetti definisce l’arrampicata su Skotonata: “Tra uno spit e l’altro c’è alpinismo”. Credo sia la miglior valutazione della nostra etica di vent’anni fa.

Intervista Bruno Quaresima

 

Cima Scotoni Parete Sud

Via Skotonata Galactica

Bruno Tassi “Camos”, Ivano Zanetti, Gianbattista Calloni “Garafao”, 1 Settembre 1994

Sviluppo 700 metri (22 L)

Difficoltà 7c+ (6b/c obbl.)

Via attrezzata a spit e chiodi salita in libera dai primi salitori.

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